C’è un legame strettissimo tra poesia e meditazione. Entrambe sono un’arte che richiede pazienza, disciplina, dedizione. Entrambe cercano di raccontare attimi, emozioni, suggestioni. Entrambe contemplano la possibilità di non trovare risposte ma stare con la domanda.
La poesia arriva infatti in luoghi dell’anima sconosciuti, luoghi che tal volta visitiamo con la meditazione. Lo descrive magnificamente la poetessa e praticante di meditazione Chandra Livia Candiani che spesso ha parlato del legame tra poesia e meditazione. “(…) la poesia sa condurre negli spazi del non so, costringe all’intimità con il non conosciuto, con la domanda che non chiede risposte ma scommesse, rivoluzioni di senso, mappe non lineari. Risponde alla paura contemporanea del vuoto, quel vuoto fecondo che permette l’incontro con l’altro, lo spazio tra me e te in cui potersi emozionare. E cosa crea più intimità della parola viva?”
Iniziare da ciò che è visibile
Tanto la poesia quanto la meditazione partono dall’esperienza diretta e dalla possibilità di incontrare il momento con apertura e curiosità. Poesia e meditazione utilizzano due linguaggi diversi ma partono dallo stesso silenzio, e dall’essere svegli, presenti al panorama fuori e dentro di noi. Senza scegliere. Senza giudizio, presenti a quello che c’è. Nello sforzo continuo di individuare la parola che meglio descrive quell’attimo, quella suggestione. A volte occorrono settimane, mesi, anni per trovare quella parola.
Continuare con ciò che invisibile
Mi viene in mente un bellissimo film del regista coreano Lee Chang-dong dal titolo “Poetry” (Poesia). Il regista intervistato descrive così la trama del film: “Il film racconta di un’anziana che scrive poesie per la prima volta. Dapprima cerca la bellezza visibile, poi capisce che la bellezza la si può trovare solo dopo aver vissuto l’orrore, la sofferenza, il lato oscuro delle cose”. Anzi è spesso il dolore più grande che ci permette di scorgere la preziosità della vita. Tanto la poesia quanto la meditazione contemplano la possibilità di condividere nello stesso spazio il più grande dolore e la più grande bellezza. Esemplare quel primo verso della poesia Gentilezza di Naomi Shihab Nye: “Prima di sapere che cosa sia veramente la gentilezza devi perdere delle cose”
L’urgenza di narrare
Tanto la poesia quanto la meditazione racchiudono un senso di urgenza. Di recente ho partecipato a un ritiro con Christina Feldman che durante un suo discorso sottolineava il senso di urgenza della meditazione; che è spesso lo slancio che ci ha fatto iniziare a meditare e che sempre più cresce quando ci accorgiamo della preziosità e fragilità della vita. Allo stesso modo la poesia viene scritta perché non si può farne a meno, la stesura è di per sé quel processo di scoperta e conoscenza che piuttosto che nascere da una romantica ispirazione trova il suo slancio da un’impellenza.
L’impegno di scrivere
Tanto la meditazione quanto la poesia condividono un forte senso etico, sociale, rivoluzionario. Mi viene in mente una bellissima canzone di Brunori che canta “oggi salvo il mondo con un pugno di poesie”. Non si può non ricordare a questo proposito Lawrence Ferlinghetti che nel suo Poetry as Insurgent Art (Poesia, un’arte che insorge) scriveva un vero e proprio manifesto che erge la poesia a un’arte tra le più rivoluzionarie capace di trasformare il mondo.
“Osa essere un guerrigliero poetico non-violento
un antieroe.
Controlla la tua voce più incontrollata con
compassione.
Fai il vino nuovo con gli acini della rabbia.
Ricorda che gli uomini e le donne sono esseri
infinitamente estatici, infinitamente sofferenti.
Solleva i ciechi, spalanca le tue finestre chiuse,
solleva il tetto,
svita le serrature delle porte, ma non buttare via
i cardini.”
Allo stesso modo, c’è un implicito senso etico nella scelta di meditare. Il momento più importante è quando lasciamo il cuscino di meditazione e incontriamo il mondo. Mi viene in mente la storia di quel un monaco zen che aveva scelto di lasciare la vita monastica e una volta tornato nel suo appartamento di New York, aveva appeso nella porta di casa la scritta “Zendo” che nello zen si riferisce alla sala di meditazione. Voleva ricordarsi ogni volta che si lasciava alle spalle la porta, che la vita fuori da casa con la sua velocità, aggressività, a volte incomprensibilità, è la vera sala per praticare meditazione.
Conosco molti “guerriglieri poetici non-violenti” che si dilettano a scrivere poesie. Tra questi mia mamma che continua a vivere quell’urgenza di raccontare l’attimo, sparpagliando versi dovunque: foglietti vari, retro degli scontrini, angoli di una busta qualunque.
Sono sinceramente grata a tutti coloro che prendendo posto in un cuscino da meditazione o impugnano una penna per raccontare la fragilità e la preziosità della vita. Chiudo con una poesia di Wendell Berry che racconta la sua ricetta per essere un poeta. Che possa essere d’ispirazione per futuri guerriglieri.
Come essere un poeta
(per mio promemoria)
Trova un posto per sederti.
Siediti. Resta in silenzio.
Dovrai fare affidamento su
affetti, letture, conoscenze,
abilità – più di quante
tu ne abbia – ispirazione,
impegno, maturità, pazienza,
perché la pazienza congiunge il tempo
all’eternità. Dubita
del giudizio
di chi elogia i tuoi versi.
Respira con respiro incondizionato
l’aria non condizionata.
Lascia perdere i fili elettrici.
Comunica con lentezza. Vivi
una vita a tre dimensioni;
stai lontano dagli schermi.
Stai lontano da tutto ciò
che offusca il luogo in cui si trova.
Non esistono luoghi che non siano sacri;
soltanto luoghi sacri
e luoghi profanati.
Accogli quanto viene dal silenzio.
Fanne il meglio che puoi.
Con le minute parole che a poco a poco nascono
dal silenzio, come preghiere
riverberate verso chi prega,
componi una poesia che non turbi
il silenzio da cui è nata.
I am text block. Click edit button to change this text. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Ut elit tellus, luctus nec ullamcorper mattis, pulvinar dapibus leo.