Le prime cose che metto in valigia prima di partire per il ritiro sono il mio panchetto da meditazione e dei guanti gialli in gomma. In un certo senso raccontano cosa farò: mi dedicherò alla pratica e lo farò in una comunità impegnata a prendersi cura l’uno dell’altro. Nei prossimi giorni sarò assegnata a un qualche lavoro come aiutare in cucina, prendermi cura della sala, suonare la campana che scandisce la giornata, preparare il tè, prendermi cura degli spazi comuni. Insomma, i guanti di gomma possono senz’altro essermi utili.
Il ritiro a cui partecipo si inserisce nel Committed Practitioner Program, o CPP come lo chiamiamo noi, un programma di due anni offerto dal Bodhi College. Partecipare a questo programma mi permette di studiare in modo strutturato il buddismo antico e mi permette di farlo con insegnanti come John Peacock, Stephen Batchelor, Chrsitina Feldman, Martine Batchelor, Akincano Weber, Jaya Rudgard, Yuka Namajura, Jake Darlington.
Ogni due mesi ci troviamo con un programma di studio e pratica su temi specifici: l’ottuplice sentiero, il kamma, l’etica, i fattori del risveglio, l’originazione dipendente e tanto altro. Ogni mese ci vengono assegnati testi da studiare, domande su cui riflettere. Una delle intenzioni del programma è quella di proporre gli insegnamenti nella modalità con cui 2600 anni fa sono stati offerti: in una comunità, attraverso la pratica e la sperimentazione diretta, e con la guida continua di un maestro.
Questo tipo di conoscenza viene proprio raccontata attarverso tre modi diversi di sviluppare conoscenza che sono propri a questa tradizione.
- Il primo modo con cui studiamo e pratichiamo è attarverso l’ascolto degli insegnamenti (in pali Suta Maya Panna e cioè la conoscenza attraverso l’ascolto, lo studio la lettura). Quando ascoltiamo un insegnante o quando ascoltiamo la lettura di un sutta per esempio, facciamo esperienza di questa conoscenza.
- Il secondo livello prevede una vera e propria riflessione sugli insegnamenti (in pali Cinta Maya Panna e cioè la conoscenza attraverso la riflessione). Questo avviene in tanti modi: con un mentore che ogni mese incontriamo, con uno compagno o un gruppo di studio con cui ogni mese siamo invitati a confrontarci, attraverso le riflessioni che facciamo con noi stessi per iscritto per comprendere meglio. La condivisione permette di aprirci a una valutazione di aspetti che non avevano mai considerato.
- Infine, il terzo livello di conoscenza arriva attraverso quella comprensione che passa dalla nostra stessa pratica di meditazione (in pali Bhavana Maya Panna e cioè la conoscenza attraverso la meditazione) coltiviamo una conoscenza esperenziale. Si tratta infatti non di insegnamenti dogmatici da ricordare o condividere quanto piuttosto di qualità e modalità da esplorare e di cui fare esperienza.
Questi tre livelli si sovrappongono tra loro. Molto spesso, e con molti maestri, l’ascolto degli insegnameti diventa una sorta di meditazione guidata: senza bisogno di afferrare o fermare alcun concetto, portiamo le parole nella nostra meditazione e osserviamo dove e come arrivano. Come dice Martine Batchelor, la mia mentore, si tratta di un ascolto che arriva più nella pancia che nella testa.
In questi livelli di conoscenza, l’invito resta sempre di fare emergere l’insegnante che è dentro di noi. Già dal primo giorno siamo stati inviati a dissentire – se è il caso – con l’insegnante e con i nostri compagni e trovare le nostre argomentazioni per questo. Questo per me è stato il vero cambiamento. Sono stata educata a un apprendimento in cui l’insegnante viene raramente contraddetto, e un eventuale conflitto interiore era da imputare soprattutto a una mia non comprensione di quanto offerto. Invece, al cuore di questi insegnamenti sta l’esplorazione interiore attraverso l’esperienza diretta: “Come funziona questo insegnamento nella mia vita?”. Niente di dogmatico, nulla da credere. Veniamo invitati a valutare come questi insegnamenti sono veri per noi, nella nostra vita, nel nostro cuscino di meditazione. Questa indagine è continua e in certi casi estremamente trasformativa.
Mentre scrivo questo blog, mi rendo conto che in un certo senso, è quello che facciamo con i praticanti quando ogni mese ci riuniamo per approfondire un aspetto della meditazione, e ci concediamo di esplorarlo con la pratica e lasciamo spazio al confronto per capire come questi insegnamenti sono utili nella nostra vita di tutti i giorni.
Penso a tutti i praticanti che dopo avere completato un percorso mindfulness-based tornano chiedendo ” e ora?”. I programmi di mindfulness possono essere un ottimo modo per attraversare un periodo particolarmente sfidante; per altri diventano un vero e proprio vaso di Pandora che viene scoperchiato lasciandoci con un desiderio di conoscere di più, con un’urgenza di trasformare la nostra vita in modo più significativo. Quando si assapora la chiarezza, la gioia e la possibilità della pratica di consapevolezza, si percepisce anche che è solo la punta dell’iceberg che ha fondamenta antichissime.
Per questo, quando molti tornano e chiedono “e ora?”, stanno spesso chiedendo: cosa c’è sotto la punta dell’iceberg?
È quello a cui ci dedichiamo quando continuiamo a praticare insieme e a esplorare che cosa significhi in definitiva essere umani.