Ogni anno si scelgono alcune parole che raccontano l’anno, si è parlato di distanziamento sociale, di igienizzare, di lock-down.
A me piacerebbe racchiudere quest’anno nella parola R.I.N.U.N.C.I.A.
Ognuno di noi è stato invitato a una serie di rinunce in ambito personale, familiare, professionale. Qualcuno l’ha percepito come un invito, altri come un ordine.
Qualcuno l’ha accolto, altri lo hanno combattuto.
Sacrifici
Nel periodo delle festività che ci prepariamo a vivere, sembra che ancora una volta saremo invitati a varie rinunce.
La parola rinuncia nella nostra cultura è spesso associata a qualcosa di negativo, a un senso di privazione. Ci sono delle volte però in cui scegliamo di rinunciare a qualcosa. Penso a un’amica che ha scelto di non toccare vino per supportare il figlio in un periodo difficile; a mia mamma che ha smesso di fumare quando mio padre ha dovuto farlo per un problema di salute.
Piccoli grandi sacrifici che facciamo per qualcosa di più grande. La parola sacrificio che è spesso associata a quella di rinuncia, si riferisce a conservare, a proteggere qualcosa che per noi è sacro. Il figlio per la mia amica, mio padre per mia mamma.
In questo senso la rinuncia include un senso di grande intenzionalità, una risolutezza e un’autodeterminazione. Niente di passivo, nulla lasciato al caso.
Semplificare
La rinuncia ci offre l’occasione di una semplificazione della vita. Intesa come la capacità di andare all’essenziale. Scoprire cosa veramente ci nutre e lasciare andare via il resto. Come dicono alcuni versi di George Eliot “ Teniamo quello che vale la pena di tenere e poi, con il fiato della gentilezza, soffiamo via il resto”.
Nel periodo del lock-down qualcuno ha avuto una percezione della rinuncia come una semplificazione. È stata una semplificazione delle relazioni, del vestirsi, del mangiare, dello scegliere a cosa rivolgere la nostra attenzione. Sento di persone che hanno nostalgia di quei giorni, e credo che in realtà la nostalgia sia per quella semplicità.
Molti praticanti di mindfulness hanno condiviso di avere tratto beneficio dall’esperienza dei ritiri di meditazione in cui la vita si svolge cadenzata da un’estrema semplicità: tutte le giornate si svolgono con la stessa routine, poche distrazioni, silenzio, cibo semplice e nutriente, spazio per portare l’attenzione all’interno, un gruppo di persone con cui si condividono le stesse intenzioni.
Trovo che questa modalità ci sia particolarmente utile in queste settimane in cui ci troviamo tutti a rinunciare a qualcosa, nella stagione in cui per eccellenza non si vuole rinunciare ma si vuole eccedere, abbondare.
Di recente in una chat tra cugini, mia sorella ci ricordava dei sacrifici che mia nonna ha affrontato durante la guerra negli anni in cui con mio nonno si sono trovati in Abruzzo patendo la fame e il freddo e in alcune situazioni temendo per la propria vita e per quella dei loro figli. Soprattutto penso alla resilienza, alla pazienza di mia nonna Franca nel dedicarsi ai suoi due bambini di 1 e 2 anni. Mia cugina ci ricordava che per intrattenerli li faceva giocare a strappare pagine dei libri che avrebbero bruciato per scaldarsi. Gli stessi libri che insieme al corredo erano stati portati dalla Sicilia in un baule. In quel baule c’erano i piani di mia nonna di dare ripetizioni di latino e greco e un corredo sicuramente ricamato con cura che è invece stato trasformato in panni per quei bambini.
In attesa di raccontarvi in un libro la storia di mia nonna e i sacrifici che ha fatto per proteggere ciò che era per lei sacro, proviamo a andare a caccia di ricordi nella storia della nostra famiglia e prendiamo ispirazione dalle persone che ci hanno portato fin qui. Ogni famiglia ha le sue. Noi siamo anche quelle storie.
Poi magari domandiamoci che cosa ci viene chiesto in queste settimane e a quali piani stiamo rinunciando, quali sacrifici siamo invitati a fare nelle prossime settimane, cos’è che stiamo cercando di proteggere? Cos’è sacro per noi?
Ogni rinuncia potrebbe trasformarsi in qualcosa di più prezioso e essenziale da custodire e proteggere. E senza neanche accorgercene scoprire di essere noi stessi da essa trasformati.
Chiudo con una frase tratta dal film Almanya – La mia famiglia va in Germania della regista Yasemin Şamdereli, che racconta come siamo il risultato di chi c’era prima di noi. Allora nel ricercare le storie di sacrificio delle nostre famiglie, possiamo forse scoprire la resilienza e la creatività che già vivono dentro di noi; e anche con un senso di responsabilità ricordare che il nostro comportamento influenzerà chi verrà dopo di noi.
Come sempre, a noi la scelta.
“Una volta un saggio alla domanda “Chi o cosa siamo noi?” rispose così: siamo la somma di tutto quello che è successo prima di noi, di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi, di tutto quello che ci è stato fatto, siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato o con la nostra esistenza abbia influenzato, siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più e ciò che non sarebbe accaduto se non fossimo mai esistiti!”