Quando ero piccola mia mamma mi diceva che ero la migliore amica di me stessa. Credo si riferisse alla mia ricerca di solitudine, al volere restare casa e a come mi rifugiassi in me stessa. Oggi comprendo che era probabilmente un rifugio inconsapevole.
Cos’è un rifugio? Forse dove ci sentiamo protetti e al sicuro, lo spazio per un ristoro fisico e mentale; un luogo in cui ci ricarichiamo o semplicemente ci ritroviamo. Un luogo quindi necessario da visitare regolarmente e quindi anche da riconoscere. Sono questi luoghi dentro o fuori di noi?
Siate un’isola per voi stessi
L’idea di rifugio è legata a quella della fiducia: il rifugio è il luogo a cui affidiamo la nostra vita; ci fidiamo di questo luogo di straordinaria libertà e pace. Molto spesso quando meditiamo incoraggio nel silenzio a ritrovare la voce del nostro maestro interiore che a volte non consultiamo abbastanza.
“Sotto il cielo che si fa abisso, / trovo la casa della mia anima” recitano alcuni versi di Ungaretti. Si tratta della nostra parte più profonda forse, delle nostre intenzioni di vita, dei nostri desideri. Ma anche del nostro respiro.
“Metto sull’altare dell’aurora: / La quieta lealtà del respiro, / La tenda del pensiero dove mi riparo,/ Le onde del desiderio sono la mia riva / E tutta la bellezza catturata dallo sguardo”.
Sono i versi del poeta John O’Donohue che riconosce come sacro il rifugio del proprio respiro, dei propri pensieri, delle intenzioni e della ricchezza del mondo.
Forse riconoscere il nostro rifugio interiore può essere la scoperta più importante della nostra esistenza. Probabilmente la strada per riconoscerlo è nella solitudine. Nel ritagliarsi del tempo e dello spazio per restare in ascolto. Come dice il filosofo francese Pascal avere “un retrobottega tutto nostro” e fargli visita spesso.
Nel discorso di commiato del Buddha, nel suo ultimo insegnamento invita a prendere rifugio in se stessi. “Siate un’isola per voi stessi”. La parola che usa è dipa, che vuole dire isola e anche luce.
- Siate un’isola per voi stessi racconta la possibilità di restare radicati anche quando siamo circondati dai mari agitati della vita.
- Siate una luce per voi stessi racconta la capacità di riconoscere la nostra luce in mezzo al buio che a volte ci sembra di percepire.
La luce però oltre a offrire calore e ristoro per noi, può essere un riferimento per altri che sono in grado di riconoscerla. Allora ecco che la nostra esistenza, può diventare rifugio per gli altri. Le nostre azioni sono un rifugio, le nostre parole e il modo in cui scegliamo di vivere la nostra vita, diventano occasione di ispirazione per altri. Insieme a questo, possiamo riconoscere che altri, con la loro esistenza, sono la luce che ci ispira e ci ricorda le nostre intenzioni profonde. Ecco che gli altri rappresentano per noi un rifugio esterno.
Rifugi esterni
Quando durante la settimana corriamo senza tregua, in cosa ci rifugiamo a fine giornata? La serie TV, un aperitivo con gli amici, la palestra? Tutto utile in una certa misura. Ma attenzione a rammentare che il rifugio è quello che ci avvicina a noi stessi e non ci allontana, non ci distrae dalla vita. Il vero rifugio non è una fuga ma ci fa sentire a casa. È utile riconoscere cosa intorno ci offre protezione e pur essendo a noi esterno, si riflette dentro di noi.
- Tra i rifugi esterni c’è la Natura, che sia la montagna, il mare, il contatto con gli alberi o anche solo – come a me spesso capita – guardare il cielo che mi rammenta un’immensità più grande e condivisa di cui sono parte. “Non c’è rifugio come la casa, | Nel cuore del bosco, | Dove l’anima può rifugiarsi/ Senza paura, senza rumore.” Recitano alcuni versi di Emily Dickinson.
- Altre volte la presenza di un amico sincero ci rammenta il sentiero che per noi è importante; e come ho già scritto è centrale e fondante nella pratica meditativa. Come diceva Aristotele, nell’amicizia c’è la virtù più grande e la più grande fonte di felicità.
- Tante cause e iniziative del mondo possono anche risvegliare la parte più nobile di noi e agiscono come un richiamo e un’aspirazione.
- Un libro che conserviamo con cura, può rammentarci cos’è importante per noi. I versi di una poesia che forse conosciamo a memoria, agiscono come un talismano che ci catapulta al centro del nostro cuore. La foto di un maestro o di una figura che ha la nostra fiducia sono altri esempi di rifugi esterni. Nel mio piccolo altare casalingo per esempio, ho una foto di Madre Teresa, un’immagine della mia Palermo per rammentarmi le mie radici.
- Un luogo nella casa che per noi diventa sacro, in cui toglierci le scarpe e incontrarsi. Una stanza tutta per sè, direbbe Virginia Woolf. Mi viene in mente lo studio di mio papà che era a tutti gli effetti il suo rifugio: ogni parete ricoperta da libri, foto, quadri, stampe, cartoline, quella Lettera di San Paolo che inizia dicendo “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi “ e che probabilmente gli ricordavano la sua intenzione di vita.
E poi la musica, l’arte in generale, certi luoghi del cuore. Riflettere su cosa o chi rappresenta un rifugio per noi può aiutarci a trovare protezione e ispirazione. Le azioni, i progetti e le persone che ci ispirano diventano specchi di ciò che vogliamo coltivare dentro di noi o ci rammentano il cammino su cui ci troviamo quando ci sentiamo smarriti.
I tre gioielli o rifugi
Nella tradizione buddhista, si parla dei tre rifugi o tre Gioielli come del Buddha, il Dharma e il Sangha. Un insegnamento importante che per anni non comprendevo bene e percepivo solo come devozionale. Cosa vogliono rappresentare questi tre rifugi?
- Rifugiarsi nel Buddha significa riconoscere il potenziale di risveglio e saggezza che c’è dentro di noi. Il fatto che il Buddha, come essere umano ha trovato la strada che porta alla liberazione della sofferenza, ispira e invita alla fiducia nelle nostre capacità.
- Prendere rifugio nel Dharma vuole dire riconoscere gli insegnamenti legati alla liberazione della sofferenza, attraverso un percorso di saggezza, etica, contemplazione. Quindi abbracciare gli insegnamenti racconta un modo di vivere e di abitare il mondo con saggezza e compassione.
- Rifugiarsi nel sangha vuol dire riconoscere di fare parte di una comunità, e come questa comunità ci dà protezione. Thich Nhat Hanh diceva: ”Il tuo sangha è il tuo sostegno; esso ti riporta alla tua fonte di consapevolezza, alla tua solitudine“. Un sangha che cammina con noi, sposta la nostra narrazione da un “io” a un “noi” e ci rammenta la nostra interdipendenza, ci ispira a continuare il nostro cammino anche quando stiamo stanchi, svogliati. La presenza degli altri ci permette di seguire le impronte davanti alle nostre, e ci rende consapevoli che anche noi stiamo lasciando delle impronte per altri dopo di noi.
Prenderci cura del nostro rifugio
Una poesia di Kabir, un poeta e mistico indiano del 1400 sollecita a non distrarci con i falsi rifugi e riconoscere invece la preziosità che vive dentro di noi.
“Il piccolo rubino che tutti desiderano è caduto sulla strada / Alcuni pensano si trovi a est, altri a ovest / Alcuni dicono, tra le rocce primitive della terra, altri nelle acque profonde / L’istinto di Kabir gli rivelò che era dentro di sé, e quanto valesse, / ed egli lo avvolse con cura nel tessuto del suo cuore”.
Mi piace particolarmente quanto il poeta dice che “lo avvolse”; perché racconta della necessità di curare, custodire, coltivare il nostro rifugio. Pulirlo dalle erbacce e renderlo un luogo familiare da visitare. Non c’è nulla di passivo o statico nel rifugio: non ci accasciamo sul rifugio così come affondiamo sul divano. La coltivazione è attiva e richiede investigazione e responsabilità ancora di più sapendo come il nostro prendere rifugio è a beneficio nostro e di altri. Soprattutto richiede l’impegno e la responsabilità di renderlo prioritario rispetto ad altro. Nel momento che lo riconosciamo comprendiamo che prendercene cura è il gesto più importante della nostra vita.