Qualsiasi pratica di meditazione inizia con il prendere posto. È questo un atto radicale, il primo momento in cui di fatto creiamo uno spazio all’interno della nostra giornata e scegliamo di fermarci. Per questo, il modo in cui prendiamo posto suggerisce la qualità che dedichiamo a questo spazio: sbadato, scomodo, abituale o anche attento, dignitoso, consapevole.
La postura è il primo ponte che mettiamo tra corpo e mente, tra intenzione e azione; il modo in cui scegliamo di prendere posto veicola un atteggiamento della nostra mente.
Quello che la postura non è
Ricordo, la prima volta che ho partecipato a un ritiro silenzioso con la maestra Elena Rosenbaum, di avere curato la postura con una precisione e attenzione maniacale. Non ero semplicemente seduta su un cuscino ma avevo sollevato la pelle dagli ischi, sistemato le ginocchia affinché toccassero terra alla perfezione e allungato la schiena con una rigidità che ho male solo a pensarci. Eccomi pronta. La mia mente avrà fatto un discorso del tipo “Ah per fortuna che provengo dall’ Iyengar Yoga e che so proprio come sedermi a gambe incrociate”. E poi un commento dell’insegnante sulla postura deve avermi rammentato che la schiena dritta non era abbastanza; ero così piena delle mie convinzioni e mancava la morbidezza necessaria per accogliere la pratica. Così attenta alla forma non mi ero dedicata alla sostanza del prendere posto.
La postura non è semplicemente una bella forma: il loto completo, la schiena dritta, la totale immobilità che alcune tradizioni come lo zen richiedono. Quello che è importante è fare in modo che la postura non sia semplicemente un bel contenitore senza contenuto.
Perché curare la postura
Quando prendiamo posto stiamo già formulando un’intenzione o anche più di una.
- Scegliamo di stabilizzare i corpo in modo da potere stabilizzare la mente.
- Scegliamo di radicarci così da non perderci, da non lasciarsi trascinare dalle altre cose della giornata.
- Scegliamo una fermezza fisica che racconta la determinazione a dedicarci a una pratica per conoscere noi stessi e la nostra disponibilità a stare con quello che c’è. Senza cedere al torpore o all’irrequietezza.
Da questa postura – che quindi è molto più che una posizione – impariamo a diventare consapevoli delle nostre piccole tendenze, delle nostre abitudini dei nostri automatismi. Scopriamo la nostra abilità di lasciare andare ciò che non è più necessario, di lasciare essere ossia di permettere alla vita di svolgersi nonostante tutto.
Ci sono di fatto quattro posture nella pratica di consapevolezza: la postura seduta, la postura camminata, la postura eretta, la postura distesa. Ognuna ha pari importanza e una sua ragione di essere. Personalmente, è proprio durante la pratica camminata che ho avuto alcune realizzazioni. Per una qualche ragione si dà sempre grandissima importanza alla postura seduta ma come ricorda il maestro della foresta a Ajhan Chah “ho visto galline restare sedute per giorni ma non mi pare abbiano raggiunto una qualche comprensione profonda”. Questa freddura mi ricorda la fierezza e la presunzione con cui sedevo nell’aneddoto di prima in cui avevo costruito un bel contenitore con la schiena dritta, le ginocchia per terra ma senza alcuna morbidezza e disponibilità nel cuore. Allora sono utili le istruzioni che offre la maestra e poetessa Chandra Livia Candiani quando scrive: “La postura della meditazione è una postura fisica: stiamo seduti a terra con un forte senso di radicamento, le ginocchia toccano il pavimento, le natiche sono appoggiate, la schiena è eretta, ma flessuosa, non rigida, il petto è aperto al mondo, all’infinito, le mani sono appoggiate con semplicità una sull’altra oppure sulle ginocchia, gli occhi sono chiusi o lo sguardo è abbassato e fuori fuoco, una vista periferica. Ma la postura è soprattutto una postura del cuore, senza la postura del cuore non c’è nemmeno quella del corpo o è forzata e rigida. La postura del cuore è: io sono qui, aperta a qualsiasi cosa sorga e mi visiti, sono radicata a terra, sento il suo sostegno, e insieme mi alzo verso il cielo, nello spazio, li cucio“.
Costruire la nostra postura
Tutte le volte che guido una meditazione, invito i praticanti a dedicare del tempo per costruire la propria postura. È importante infatti osservare come stiamo quando prendiamo posto in modo che la postura possa riflettere e prendersi cura di come stiamo in quel preciso momento. Se infatti abbiamo avuto una orribile giornata oppure la nostra schiena è dolorante, quanta disponibilità, quanta gentilezza avremo nella nostra sessione se scegliamo una postura rigida e non supportata adeguatamente?
Osservare come stiamo diventa il primo invito per una postura consapevole. Credo che la postura debba incarnare la via di mezzo e cioè, debba includere agio e allerta. Se restiamo troppo comodi rischieremmo di scivolare in un confortevole torpore, allo stesso modo se restiamo troppo rigidi o troppo in allerta non avremo alcuna disponibilità a incontrare il momento con gentilezza. È necessario quindi trovare uno spazio di equilibrio tra morbidezza e essere vigili. Una posizione in cui non crolliamo, non scappiamo, semplicemente impariamo a stare.
Abbandoniamo la modalità di controllo che probabilmente abbiamo in altri momenti della nostra giornata, e semplicemente lasciamo essere.
Personalmente trovo utile ricordare queste semplici indicazioni
- Iniziare dal basso, iniziare dalle radici, costruire la postura dalle fondamenta. Radicare i piedi al suolo, radicare i glutei alla sedia o al cuscino a seconda del supporto che stiamo usando.
- Scopriamo che più siamo radicati, più abbiamo il contatto con la terra che ci sostiene, maggiore facilità avremo di elevare la nostra schiena in modo che resti dritta senza mai essere rigida.
- Abbandoniamo intenzionalmente la rigidità che non è più necessaria. Osserviamo quali punti del corpo conservano ancora una qualche rigidità; molto spesso sono le spalle, le mani, la mascella, la fronte, gli occhi. Intenzionalmente visitiamo i luoghi del nostro corpo che conservano ancora un tentativo di controllo e invitiamoli a lasciare andare, almeno per un po’.
- Gli occhi possono essere aperti o chiusi. Per alcune tradizioni gli occhi restano aperti (e anche io di tanto in tanto pratico con gli occhi aperti) e in questo caso l’invito è quello di tenerli morbidi davanti a noi. E questo per fare in modo da non essere sollecitati da stimoli esterni e fare in modo che il vero sguardo sia quello rivolto all’interno.
La postura richiede pratica. Molti praticanti mi dicono dopo appena un giorno o una settimana di pratica che la posizione sul cuscino non fa per loro. E come potrebbe? Non è senz’altro una postura che siamo abituati ad adottare normalmente. Così facendo finiamo per preferire la sedia e non abbandonarla più. In questo modo rischiamo di fare della postura una zona di comfort. Ma la meditazione non è solo comfort e sicurezza, piuttosto richiede la disponibilità a stare nella sfida, almeno per un po’.
La postura nella vita
La postura nella meditazione in qualche modo racconta la postura nella vita: ci suggerisce come restare radicati, come abbandonare la nostra rigidità e chiudere gli occhi lasciando andare. Ci offre un invito all’equilibrio tra la comodità della zona di comfort, e il mettersi alla prova per scoprire qualcosa di nuovo. Una delle storie più affascinanti che raccontano la perseveranza e la fiducia che incarna la seduta, è quella in cui Gautama Siddharta abbandona le pratiche ascetiche e decide di sedere sotto l’albero di Bodhi e che non si sarebbe alzato fin quando non avesse raggiunto il pieno risveglio. Si racconta che mentre è lì seduto ricorda un momento in cui, da bambino, si sedeva sotto un albero e provava spontaneamente sollievo e gioia. La postura nella meditazione ricorda la semplicità con cui siedono i bambini, liberi da aspettative o paure. Il maestro zen del XIII secolo, Dogen invitava a sedersi come fanno i bambini, naturalmente gioiosi, naturalmente consapevoli”.
Chiudo quindi con una poesia che suggerisce che invita a sedersi come un atto di radicale disponibilità alla vita.
Semplicemente siedi di Joan Casey
Spegni la televisione.
Stacca il telefono
Siediti con
La rabbia
la paura
Il dolore
Abbastanza rabbia da accendere
Guerre intestine
Dolore per far galleggiare 1.000 navi
E paura
La mia compagna di viaggio
La mia amica sempre presente.
Siediti fino a che le frecce dell’odio
Si trasformino in petali di
Fiori
Cadute dal cielo
Fresco di rugiada
Raccolte dalle lacrime.
Cadendo come benedizioni
Su amici e nemici allo stesso modo
“Finché la paura non avrà più un posto dove nascondersi.