Una delle preoccupazioni più frequenti per chi medita, è quella di non portare avanti l’impegno della meditazione, di non praticare abbastanza, di rovinare qualcosa degli sforzi iniziati in passato. La meditazione però non è una dieta, non è un programma di miglioramento di se stessi con una data di scadenza, non dobbiamo temere di riprendere i chili persi. La pratica dura tutta la vita. Dunque mettiamoci comodi e auguriamoci di avere quanti più giorni davanti a noi per sperimentare, scoprire, trasformare.
L’impegno e la disciplina
“Come ci si esercita al pianoforte per coltivare il proprio talento musicale o si pratica uno sport per affinare la propria abilità atletica, possiamo praticare la meditazione per educare il naturale capacità della mente di essere presente, provare sentimenti di gentilezza amorevole e aprirsi oltre le opinioni e i punti di vista fissi. questa meditazione che mi è stata insegnata e pratico abitualmente, è costituito da tre principali parti: la postura, l’oggetto della meditazione e il modo in cui ci si rapporta ai pensieri”. Queste sono le parole della maestra Pema Chodron che senz’altro ci rammenta che sì, questa pratica richiede un certo impegno. Nel corso degli anni ho scoperto che la preoccupazione di non meditare abbastanza accomuna tanti praticanti nuovi e esperti. C’è il desiderio condiviso di riuscire a trovare una disciplina, di mantenere l’impegno alle nostre intenzioni. Questo impegno è un valore soprattutto quando siamo in grado di rammentare la direzione di questo impegno, e cioè la nostra intenzione. Il perchè meditiamo.
Oltre la meditazione
Il fatto che l’impegno alla pratica della meditazione sia una preoccupazione condivisa da tanti, mi rammenta che la disciplina che stiamo cercando non riguarda soltanto la pratica ma la stessa vita. Il desiderio di onorare le nostre intenzioni, di rispondere in modo saggio agli eventi della nostra giornata è una pratica, un allenamento che va oltre la meditazione. Stiamo di fatto allenandoci a non alzarci dalle situazioni della vita che ci creano sofferenza, a essere vicino a chi vive un momento di dolore, a accogliere ciò che non vorremmo, a riconoscere la gioia. Avere uno spazio per allenarci a tutto questo, è esattamente il senso della pratica.
Nostalgia dalla pratica
La pratica che abbiamo scelto è una pratica che dura tutta la vita. Proprio per questo possiamo comprendere che certamente non sarà sempre uguale e piuttosto prenderà l’andamento della nostra vita. Il mese scorso durante l’incontro con la mia mentore, lamentavo di non stare praticando abbastanza proprio in un momento in cui credevo di averne più bisogno a causa di un malessere. La mia mentore Martine, mi ha rammentato come la pratica richieda energia e in un tempo in cui non avevo alcuna energia, sarebbe stato difficile pretendere troppo da me stessa. Potevo incontrarmi lì dov’ero? Questa era la mia pratica. Vedere le aspettative che avevo sul momento e su di me, e piuttosto accogliermi com’ero.
Piuttosto che scoraggiarci, è utile notare quella nostalgia che proviamo verso la pratica. Si tratta probabilmente di nostalgia da noi stessi. Quella nostalgia è già di per sé un nutrimento perché ci rammenta che c’è uno spazio per fermarci e incontrarci così come siamo, lo sappiamo e ci torneremo quanto prima.
Affrettati piano
Proprio perchè è una pratica che dura tutta la vita, non ha alcun senso affrettarsi. La nostra è anche una pratica lenta, la lentezza fa in modo che ogni piccolo cambiamento abbia il tempo di integrarsi nella nostra vita in modo che non riguardi solo il nostro cuscino di meditazione ma ogni aspetto delle nostre giornate sia intriso di questa trasformazione. Non abbiamo fretta. Quando iniziamo a meditare, alcune trasformazioni arrivano immediatamente, anche solo appena sediamo: la scoperta di fermarci, la scoperta del respiro, della possibilità di riconoscere i nostri stati mentali. Le scoperte che facciamo sono proporzionare all’energia che mettiamo, che all’inizio è tanta. A volte la pratica sembra rallentare, o addirittura fermarsi. Possiamo vedere se c’è fatica, impazienza, noia. Questi apparenti ostacoli, sono la nostra pratica.
Chiudo con una poesia di John Wilwood che descrive la necessità di abbandonare qualsiasi aspettativa possiamo nutrire per la meditazione, riaccompagnandoci alla preziosità del momento presente.
Dimenticati dell’illuminazione.
Siediti ovunque tu sia
E ascolta il canto del vento nelle tue vene.
Senti l’amore, il desiderio e la paura nelle tue ossa.
Apri il tuo cuore a chi sei, adesso,
Non chi vorresti essere.
Non il santo che stai cercando di diventare.
Ma l’essere proprio qui davanti a te, dentro di te, intorno a te.
Tutti voi siete santi.
Siete già più e meno
Di qualunque cosa possiate sapere.
Espira, tocca, lascia andare.