“Non ho nessuna voglia di praticare!” È questo uno dei commenti che sento spesso dai praticanti. Dietro questa sincera dichiarazione, che è comune anche tra i praticanti esperti, ci sono molteplici aspetti da osservare.
Prima fra tutte l’aspettativa che la pratica debba essere utile e debba regalarci dei momenti speciali; una sorta di idealizzazione della pratica per cui desideriamo che qualcosa di importante ci venga svelato; o quanto meno se proprio nessuna rivelazione debba arrivare, c’è la speranza che la meditazione ci intrattenga in qualche modo.
Questo nonostante sappiamo come la pratica semplicemente racconti dove siamo e ciò che è necessario vedere; in alcuni casi quindi la noia, le aspettative, la difficoltà a stare con le cose così come sono, la difficoltà a rallentare. Proprio il desiderio di vivere una vita con ritmi più lenti o semplicemente meno frenetici si trasforma quasi subito in noia, proprio per come siamo ormai abituati a riempire il nostro tempo con qualcosa da fare.
Il miracolo del neutro
Proprio questo mi fa pensare all’insegnamento nel portare l’attenzione verso ciò che non è né piacevole né spiacevole (spessso detto neutrale), e che quindi viene velocemente classificato come noioso, non interessante. Solo col tempo scopriamo il miracolo di tutto ciò che non è neutrale, di ciò che non è nè urlato, nè drammatico, nè incredibile, nè wow, nè supersonico, semplicemente normale, come il nostro respiro, come la nostra schiena dritta mentre siamo seduti, come il miracolo di sentire i nostri piedi a terra o il calore delle mani. Nel tempo tutto ciò che sembra scontato diventa un piccolo miracolo proprio perchè iniziamo a prestare attenzione. E semplicemente nulla è più scontato. Tra l’altro, una delle scoperte che facciamo anche nella nostra noiosa o neutrale pratica, è che quando sembra non stare succedendo nulla, qualcosa si fa strada dentro di noi. Nel corso della giornata, riconosciamo alcuni benefici: il fatto di esserci fermarti e esserci dedicati del tempo, apre nuovi spazi di un benessere poco conosciuto.
La scoperta del nostro tempo
Infatti insieme alla noia, una delle scoperte di chi inizia a meditare, è anche la scoperta di dedicarsi del tempo. Per quanto possa sembrare banale per qualcuno, la scoperta di potersi dedicare del tempo in modo esclusivo, è un avere propria rivelazione: potersi fermare, sedersi su una sedia o a gambe incrociate e rinunciare a qualsiasi attività se non a quella di respirare, è per qualcuno un radicale atto di egoismo. Sono in tanti infatti i praticanti che leggono nel dedicarsi del tempo un toglierne ad altri. Questo aprirebbe un altro ampio tema per cui finiamo per mettere noi stessi sempre all’ultimo posto nella lista di cose da fare. Mi viene in mente una frase che recita più o meno così: “E se ti chiedessi di nominare le cose che ami di più, quanto tempo impiegheresti prima di nominare te stesso?”
E se fosse torpore?
Un altro aspetto fondamentale da portare alla nostra attenzione quando si parla di noia, è quello dei cinque ostacoli alla nostra pratica e in particolare quello del torpore. Il torpore infatti non si riferisce semplicemente alla sonnolenza di cui molti fanno esperienza durante la meditazione (e che soprattutto nelle prime settimane di un percorso racconta una stanchezza antica di cui non ci siamo presi cura). Il torpore soprattutto racconta quella leggera indolenza, quel non volere guardare in quei cassetti chiusi da troppo tempo. Sappiamo infatti che quel guardare richiede una certa energia e forse anche un certo grado di sofferenza. Iniziare un percorso di consapevolezza può essere visto come un ritrovarsi nudi in una stanza piena di specchi e imparare a guardarsi con gentilezza e curiosità. Senz’altro non facile, senz’altro non divertente!
Perchè sono veramente qui?
Eppure scopriamo nel tempo, che sono proprio quei cassettini chiusi per troppo tempo che ci hanno portato a praticare. Non solo quella iniziare motivazione, quel passaparola che aveva fatto risuonare qualcosa dentro di noi. Ecco quindi che richiamare o riconoscere la nostra motivazione può essere l’energia necessaria per trovare la nostra energia Eppure è esattamente questa energia è la motivazione il motore che può in qualche modo sollecitare la nostra pratica. Ricordare perché abbiamo iniziato, immaginare che l’energia che ci occorre per aprire quei cassetti sarà ricompensata nel tempo con nuove scoperte.soprattutto proprio come abbiamo detto all’inizio quel prendere posto a prescindere dal nostro umore, a prescindere dalla quantità di cose da fare, è una radicale atto di amore verso noi stessi. Imparare a prenderci del tempo per noi richiede a volte considerare che proveremo senzazioni neutrali e che un po’ frettolosamente potremmo definire come noia.
Riconoscere quello che c’è (e non quello che manca)
Infine, è importante riconoscere all’interno della nostra pratica, i momenti piacevoli che la pratica riesce a darci. Infatti, mentre il nostro cervello è più abituato a andare in cerca di quello che non va, di quello che manca, di cosa c’è da aggiustare in ogni situazione, tende e lasciarsi scivolare tutto quello che sta andando bene. Quindi, è fondamentale riconoscere e soffermarsi a notare tutti quei brevi momenti di pace, la piacevolezza del nostro respiro o come dicevamo anche la semplice ma rardicale scoperta di poterci dedicare del tempo. Più noteremo la piacevolezza di questi momenti, più porteremo gioia nella nostra pratica e soprattutto ci verrà voglia di tornare a meditare.
Chiudo con alcuni versi del poeta Rumi in cui ci invita a lasciare andare il consueto modo impeganto di occupare la nostra vita; piuttosto riconoscere i tanti modi di riconoscere questa preziosa vita umana.
Oggi, come ogni altro giorno,
ci svegliamo vuoti e spaventati.
Non aprire la porta dello studio per iniziare a leggere.
Prendi in mano lo strumento musicale.
Lascia che la bellezza che ami sia in ciò che fai.
Ci sono centinaia di modi per inchinarsi e baciare la terra.