Ho iniziato a meditare quando ho iniziato a scrivere. Probabilmente non ne ero così consapevole, ma solo ora mi rendo conto anche rileggendo quello che mettevo nel foglio che si trattava di una sincera esplorazione che riguardava me stessa e il mondo che mi circondava.
Forse proprio la scrittura mi ha portato a allenare quello sguardo più introspettivo. In effetti tanto la meditazione quanto la scrittura, condividono l’abilità di non perderci di vista, di allenare il contatto con se stessi. E mentre scorro le pagine dei miei diari riesco anche a tenere traccia di alcune trasformazione che sono avvenute. E so che non sono sola.
Tenere un diario
Tutte le mie nipoti, a un certo punto della loro vita hanno chiesto un diario con lucchetto. L’ho avuto anche io, e anche le mie sorelle. E davanti a questo ripetersi di tradizioni, non posso che pensare che è proprio un istinto quello di avere un luogo che possa accogliere i nostri segreti, le nostre paure, le nostre emozioni più intime. La pagina bianca diventa un luogo di possibilità, proprio come la meditazione, ci permette di esplorare e anche di trovare rifugio.
Quando ero più giovane non conoscevo probabilmente la meditazione, ma nelle pagine che compilavo cercavo di caprimi un po’ di più; probabilmente cercavo uno spazio anche per sfogarmi, per riconoscere le mie emozioni. Scrivere, tenere un diario, era per me un modo per comunicare con me stessa, per non perdermi di vista. Iniziavo scivendo “caro diario …” ma stavo di fatto parlando a me stessa. Mi fa pensare all’abitudine in certi corsi di mindfulness di scrivere una lettera a se stessi proprio per non perdere il contatto con certa consapevolezza acquisita.
Meditazione e scrittura condividono molto di più: intenzioni, ostacoli, anche il fatto di essere a tutti gli effetti una pratica che richiede disciplina, uno sforzo che è simile a un’energia, a uno slancio che racconta prima di tutto della fiducia in noi stessi. Soprattutto i due elementi che meditazione e scrittura condividono sono la curiosità e la gentilezza. La prima racconta il modo in cui ci apriamo a noi stessi e agli altri, con occhi nuovi, con una sincera disponibilità a volere comprendere liberi da condizionamenti o da aspettative. Come i bambini, guardiamo quello che c’è. La seconda invece, la gentilezza, descrive la modalità con cui rivolgiamo lo sguardo: abbandonando il giudizio e offrendo dignità a ogni aspetto.
Una pratica o una tantum?
Come la meditazione, la scrittura viene spesso usata per situazioni di emergenza. Certi diari che ho tenuto raccolgono i momenti più diffiicli e leggendoli sembra che la mia vita sia stata una tragedia. Chiaramente così non è. Ma è vero che spesso si inizia a scrivere in situazioni di particolare dolore. Dopo la morte di mio padre, la mia mamma ha trovato nella scrittura quotidina uno spazio di pace e riconcilizione. Vent’anni fa durante un momento di crisi di coppia, mio marito ha comprato un quaderno e iniziato a scrivere. (Contemporaneamente ha acquistato un libro di Thich Nhath Hanh. Ne ho parlato in un altro blogpost). Ho scoperto che mio padre teneva un quaderno di appunti e riflesisoni personali con gli obiettivi che si prefiggeva, in modo da verificare se le attività a cui si dedicava erano nella direzione che voleva dare alla sua vita.
Effettivamente la vera crescita e conoscenza di se stessi arriva quando pratichiamo la meditazione (e la scrittura) con disciplina, con regolarità. Quando la curiostà e la gentilezza non sono rivolte alle emozioni forti e riconoscibili e piuttosto si rivolgono a prendere nota di sensazioni apparentemente neutrali, scopriamo il miracolo dell’essere vivi, un senso di sorpresa e meraviglia e contentezza.
Riflettiamoci
Trovo che la mindfulness contemporanea abbia un po’ la responsabilità di avere demonizzato il pensiero, la riflessione. Come se pensare fosse sbagliato. Non c’è nulla di sbagliato nel pensiero e nella riflessione che piuttosto ci permette di andare in profondità.
Quello che è importante distinguere è che spesso sul cuscino di meditazione veniamo invitati a abbandonare la mente discorsiva e stare con quello che è presente. Spesso la meditazione è soprtattutto lo spazio per le domande. La mia mentore Martine Batchelor che per 9 anni è stata una monaca della tradizione zen koreana, mi ha spiegato come la pratica con cui è stata addestrata si fonda proprio su una domanda ripetuta. E la domanda è semplicemente “cos’è questo?”.
Se il cuscino da meditazioe è il luogo in cui abbandonare la mente discorsiva, possiamo esplorare nella scrittura consapevole lo spazio per approfondire alcuni degli aspetti che emergono nella nostra pratica.
Facciamoci qualche domanda
Uno strumento utile per dedicarci alla riflessione è quello di farci domande. Le domande consapevoli portano a risposte ponderate, ricche e profonde. A volte queste risposte arrivano in modo chiaro, alcune volte arrivano dal cuore, altre sono delle formulazioni intellettuali. In ogni caso, le domande che invitano a una riflessione, sono un punto di partenza per fare conoscenza con noi stessi.
Non cerchiamo risposte definitive, non vogliamo che le nostre domande ci allontanino dal coltivare un senso di possibilità, di inclusione.
A questo proposito, chiudo con alcuni versi di Kusan Sunim, che è stato il maestro di Martine, e che incoraggia a cercare nella meditazione non risposte certe, quanto piuttosto un allenamento per infondere un senso di possibilità a tutte le cose, ad abbandonare le tinte forti e decise per una fare spazio a una comprensione che include più strati.
Grande perplessità, grande risveglio.
Poca perplessità, poco risveglio.
Nessuna perplessità, nessun risveglio.
Una sessione del sito è dedicata a formulare domande che invitino una riflessione. Possiamo portarle nel nostro cuscino da meditazione o nel nostro quaderno. Ma anche nelle conversazioni tra amici, in famiglia. Scopri di più.
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