Una frase attribuita al filosofo Nietzsche afferma che tutti gli uomini, in tutte le epoche e ancora oggi si dividono in uomini schiavi e uomini liberi. Chiunque non disponga di due terzi della propria giornata è uno schiavo a prescindere dalla sua occupazione. La preoccupazione su come occupiamo il nostro tempo e la sensazione di non esserne veramente padroni, è un tema che riguarda l’essere umano ieri come oggi.
Senza volere entrare nel merito della teoria morale padrone-schiavo di Nietzsche, possiamo per un momento riflettere come ci fa sentire questa affermazione. Disponiamo di due terzi delle nostre giornate? Ci sentiamo liberi o ostaggio delle nostre scelte? Cosa ci assilla e ci fa sentire di non avere abbastanza tempo? Spesso valutiamo noi stessi sulla base di quello che abbiamo realizzato nella vita e accompagniamo questa valutazione con un costante senso di inadeguatezza non sentendoci mai abbastanza. Nella frenesia di volere fare tutto, finiamo anche per accelerare e accorgerci di stare sempre correndo anche quando non è veramente necessario. Dunque la vera sofferenza e ragione di schiavitù risiede nel nostro sguardo, nel nostro modo di relazionarci alla vita, nel sentirci inadeguati, abbastanza o nel cercare quello che manca piuttosto che gioire per quello che c’è.
Spesso chi si iscrive ai corsi di mindfulness arriva carico di aspettative su se stesso, sulla vita che vorrebbe cambiare, sul corso che dovrebbe velocemente risolvere ogni problema. Probabilmente, ognuno cerca di liberarsi in qualche modo dalla cella che si è costruito.
La meditazione aiuta a vedere tutti questi piani di miglioramento che abbiamo su di noi; e un po’ alla volta le aspettative lasciano il posto a un sincero desiderio di conoscenza di noi stessi così come siamo e non come vorremmo essere. Anche le priorità cambiano e quel piano di miglioramento lascia il posto al desiderio di vivere una vita quanto più possibile autentica e simile a chi siamo davvero. Gli obiettivi diventano intenzioni e iniziamo a domandarci come viviamo la nostra vita, tanto preziosa quanto fragile.
C’è una storiella che amo molto; l’ho letta in un libro di Charlotte Joko Beck e racconta di un re che doveva scegliere chi tra i suoi sudditi nominare primo ministro. La scelta si restringe su tre candidati che vengono rinchiusi in una stanza. Il primo che riuscirà a aprire la porta e liberarsi sarebbe diventato primo ministro. Mentre i primi due uomini si arrovellano tra formule matematiche e congetture filosofiche sulla soluzione che aprirà la serratura, il terzo uomo semplicemente si alza, apre la porta e esce dalla stanza.
A volte viviamo in una cella che ci siamo costruiti per bene negli anni e che per ognuno di noi ha delle caratteristiche diverse. Cosa ci fa sentire schiavi? Quante volte ci crediamo imprigionati in vite e lavori che non abbiamo scelto? Soprattutto quanto soffriamo pensando che la vita vera inizierà solo quando avremo anche noi varcato una porta immaginaria dentro la quale ci siamo rinchiusi? Mentre viviamo in sala d’attesa, non ci accorgiamo che siamo già liberi. La porta è sempre stata aperta.
Naturalmente la prigione non è necessariamente data dal lavoro, ma anche dalle storie, dalla mente che sembra non lasciarci mai in pace; siamo schiavi dei condizionamenti che ci costruiamo intorno alla posizione e il ruolo che occupiamo, a una ricerca di perfezione a cui segue un senso di inadeguatezza.
La pratica della consapevolezza ci permette prima di tutto di fare spazio, lo spazio creato ci permette di vedere con chiarezza. La chiarezza porta comprensione e la comprensione un senso di libertà. Forse assaporiamo anche solo per un momento, l’intuizione che non solo disponiamo di due terzi della nostra giornata, ma dell’intera giornata. A noi la scelta.
Vi lascio con una poesia di Hafiz che dal XIII secolo ci esorta a non restare prigionieri ma trovare in questa vita ciò che ci fa sentire liberi.
Non siamo venuti qui per restare prigionieri
Ma per arrenderci sempre più profondamente
Alla libertà e alla gioia.
Non siamo venuti in questo mondo squisito
per restare in ostaggio dell’amore.
Corri mio caro, da qualsiasi cosa
che potrebbe non rafforzare
Le tue preziose ali in erba,
Corri più che puoi, mia cara,
Da chiunque sia disposto a mettere un coltello affilato
Nella sacra, tenera visione
Del tuo bel cuore.
Abbiamo il dovere di fare amicizia
Con quella parte di noi, obbedire alla nostra casa
E gridare le nostre ragioni
“Oh per favore, oh per favore
esci e gioca.”
Perché non siamo venuti qui per restare prigionieri,
O per confinare i nostri meravigliosi spiriti
Ma per sperimentare sempre più profondamente
il nostro coraggio divino, libertà e luce!