Accettare, Accogliere, Permettere, Arrendersi.
Sono verbi ricorrenti nella pratica della meditazione.
Non è facile riconoscerne il significato profondo e finiamo per associarlo a una sconfitta, a un soccombere in opposizione a qualcosa di più forte di noi.
Tutti infatti vorremmo essere vincenti e felici in ogni aspetto della vita: famiglia, lavoro, vita sociale. Siamo anche stati educati a una logica dell’arrendersi-mai, barcollo ma non mollo, mi piego ma non mi spezzo e così via con tutti i motti che finiscono per illuderci di potere avere tutto sotto controllo. Ma possiamo veramente avere tutto sotto controllo?
Aspettative
Siamo pieni di aspettative su come la vita dovrebbe svolgersi. E questo succede anche nella nostra meditazione. Sarà per questo che quando iniziamo a praticare lottiamo più che possiamo, resistiamo al manifestarsi di pensieri e facciamo esperienza di noia, irrequietezza, torpore, avversione, resistenza. All’inizio fatichiamo anche a incontrare il respiro e vorremmo controllare anche quello. Poi piano piano iniziamo a arrenderci al suo naturale fluire. Iniziamo a arrenderci al fatto che i pensieri arrivano e vanno via. Più difficile è l’arrendersi quando ci troviamo davanti a un’emozione particolarmente dolorosa o un pensiero ricorrente che sembra volere stare con noi per sempre.
Spesso i praticanti raccontano che davanti all’irrequietezza del corpo e della mente durante la meditazione, la tentazione di alzarsi e abbandonare la pratica e fortissima. Ecco che arriva l’arrendersi all’irrequietezza, riconoscerla come parte di quel momento, accoglierla come una parte di noi. Va bene così. E scopriamo che scegliere di non alzarci e abbandonare la meditazione, richiede tanta energia e forza.
L’etimologia della parola arrendersi in qualche modo racconta una restituzione, rendere, porgere in mano, lasciare andare. Quando questo succede, piuttosto che sentirci sconfitti, ci sentiamo finalmente liberi.
Riflettiamo sulle volte in cui ci siamo trovati a dovere prendere una decisione importante che in qualche modo raccontava il dovere rinunciare a qualcosa che tenevamo stretto a noi: un lavoro, un punto di vista, una persona. La sofferenza è sempre proporzionata alla resistenza che facciamo nel non volere lasciare andare.
Quando scegliamo di smettere di lottare, il risultato è spesso un senso di maggiore libertà, di agio, di fine della guerra.
L’impressione di soccombere e passivamente accettare gli eventi, viene sostituita dalla scelta. La scelta non è mai passiva, ci richiede giorno dopo giorno, momento dopo momento di rinnovare la nostra intenzione di lasciare andare.
Sono certa che tutti ne abbiamo fatto esperienza. Quando scegliamo di accettare per esempio la fine di un lavoro, la lontananza da una persona cara, la trasformazione della vita, il giorno dopo la sofferenza e la tentazione a resistere all’inevitabilità dei fatti si ripresenta. Ecco che ancora una volta siamo invitati a scegliere. Niente di più attivo dell’arrendersi.
Chiudo con una poesia di Danna Faulds che già nel titolo Lascia andare, racconta la nostra capacità di lasciare andare e reindirizzare l’energia che tanto desideriamo per il nostro benessere.
Lascia andare i modi in cui pensavi che si sarebbe svolta la tua vita:
l’attaccamento ai piani, ai sogni o alle aspettative – lascia andare tutto.
Conserva le forze per nuotare con la marea.
La scelta di combattere ciò che hai ora di fronte
avrà come risultato solo fatica, paura e tentativi disperati
di fuggire da quella stessa energia che tanto desideri.
Lascia andare.
Lascia che tutto vada e fluisca
con la grazia che invade i tuoi giorni
sia che tu la riceva gentilmente o con i peli dritti per difenderti dagli invasori.
Fidati: la mente potrebbe non trovare mai le spiegazioni che cerca,
ma andrai avanti lo stesso.
Lascia andare,
e la cresta dell’onda ti porterà verso spiagge sconosciute,
oltre ai tuoi sogni più selvaggi, alle destinazioni più impensate.
Lascia che tutto vada e trovi un posto dove riposare e stare in pace,
e una trasformazione certa.