Da settimane, mesi, anni il mondo ci mette alla prova con notizie sempre più dolorose. Sempre più spesso sento dire: ma in che mondo viviamo? Ma non dovevamo uscirne migliori?
Non c’è dubbio che l’essere umano sta vivendo un momento di grande crisi e smarrimento. Mi sono domandata cosa ci sostiene in momenti come questo, dove rivolgere lo sguardo quando percepiamo la sofferenza del mondo?
Mi è venuto in aiuto il grande poeta e filosofo John O’Donohue quando ci invita a notare con quale sguardo osserviamo il mondo. Per un occhio spaventando tutto è minaccioso; per un occhio giudicante, tutto è chiuso e classificato da etichette precise, per l’occhio indifferente, nulla può veramente chiamarci o risvegliarci. Ma quando i nostri occhi sono accompagnati dalla meraviglia, il mondo inizia rivelare i suoi tesori.
“Abbiamo spesso sentito dire che la bellezza è negli occhi di chi guarda. Questo di solito è inteso nel senso che la bellezza è del tutto soggettiva (…). L’affermazione ha un altro significato, più sottile: se il nostro modo di guardare diventa bello, allora la bellezza diventerà visibile e risplenderà per noi. Saremo sorpresi di scoprire la bellezza in luoghi inaspettati dove l’occhio sgraziato non si soffermerebbe mai. L’occhio graziato può intravedere la bellezza ovunque, perché la bellezza non si riserva per momenti o istanze speciali; non aspetta la perfezione ma è già presente segretamente in ogni cosa. Quando abbelliamo il nostro sguardo, la grazia della bellezza nascosta diventa la nostra gioia e il nostro santuario”.
Secondo John O’Donohue l’antidoto a tanta sofferenza è senza dubbio la bellezza, qualcosa di innato in ognuno di noi, un “bisogno dell’anima”. Secondo O’Donohue dovremmo sempre uscire di casa con in mente la bellezza. Quando contempliamo la bellezza ci sentiamo più vivi; soprattutto ci viene ricordato quello che siamo in grado di fare.
La Mindfulness è un’alleata per scoprire la bellezza. La pratica ci invita per prima cosa a rallentare, a coltivare un po’ di curiosità che ci permette di aprirci con occhi sempre nuovi al mondo intorno a noi, ci invita a coltivare la mente del principiante e osservare liberi da condizionamenti e aspettative. C’è poi la scoperta della bellezza in tutta la sua sacralità. Ci sono moltissimi tipi di bellezza che possiamo contemplare. Eccone tre come promemoria per le nostre giornate difficili.
La bellezza della natura e del paesaggio
Salire in cima a una montagna e osservare l’immensità intorno a noi, lasciare che lo sguardo si perda all’orizzonte dove il mare incontra il cielo e per un momento realizzare che siamo parte di un progetto molto più grande. Anche sedere al centro della piazza di una città e scorprire un paesaggio costruito dall’uomo con maestria. Penso a un’amica che insegnava inglese in una zona di grande degrado. La sua missione piuttosto che insegnare l’inglese era portare i ragazzi fuori dal quartiere perchè vedessero un altro modo di vivere, un altro quartiere, perchè i loro occhi si riempissero di bellezza. Imparare la lingua straniera non era una priorità, essere esposti alla bellezza lo era.
La bellezza della musica e qualsiasi arte
L’arte ci aiuta a fare da ponte con l’emozione e la bellezza che c’è dentro di noi. Mi vengono in mente le numerose storie in cui situazioni di marginalità vengono ribaltate grazie alla bellezza. Penso ai tanti film in cui la musica e la danza entrano nelle aule, e le persone iniziano a cambiare quando entrano in contatto con la loro parte più intima, a volte sconosciuta e che l’arte permette di riconoscere. Ma a volte restiamo indifferenti anche davanti alle più preziose opere d’arte. Mi ha colpito la storia del violinista Joshua Bell, uno dei più importanti musicisti dei nostri tempi, che si è prestato a un esperimento suonando con il suo stradivari del 1700 nella metropolitana di Washington DC. Pochissimi si sono fermati a ascoltarlo. Il musicista è andato avanti per delle ore nella totale indifferenza (e raccogliendo poco più di 30 dollari).
La bellezza nelle relazioni
Quante volte usciamo di casa con in mente l’immagine o le parole di una persona amata e immediatamente ci sentiamo nutriti. La bellezza delle reazioni d’amore, di amicizia sono un vero balsamo per l’anima. Ma cosa succede quando iniziamo a scoprire anche la bellezza nella relazione con perfetti sconosciuti? Incrociare lo sguardo di qualcuno e provare a scorgere il mistero? I mesi di isolamento ci hanno disabituato, ma possiamo riscoprire cosa accade quando abbattiamo i muri e le distanze che mettiamo tra noi e gli altri e ci lasciamo trasformare. Per questo vi propongo un brano della scrittrice e poetessa Naomi Shihab Nye che racconta la bellezza delle relazioni tra sconosciti, la bellezza dei gesti inaspettati che ci trasformano e trasformano il mondo nel luogo in cui tutti vorremmo vivere. Il brano racconta una semplice scenetta che si svolge in un aeroporto americano, un volo in ritardo, una persona in difficoltà.
Buona lettura.
“Girovagando per il Terminal dell’Aeroporto di Albuquerque, dopo aver appreso che il mio volo era stato ritardato di quattro ore, udii un annuncio: ‘Se qualcuno nelle vicinanze dell’uscita 4A parla arabo, qualsiasi arabo, per favore, si presenti immediatamente’.
Bene – mi serviva una pausa. L’uscita 4A era la mia. Sono andata. Una donna anziana in vestito tradizionale palestinese, proprio come quelli che indossava mia nonna, era accasciata sul pavimento, urlava rumorosamente.
‘Mi aiuti – ha detto l’assistente del servizio aereo – le dica qualcosa’.
‘Qual è il problema? ‘
‘Le abbiamo detto che il volo sarebbe arrivato in ritardo e lei ha iniziato a fare così’
Mi chinai per abbracciare la donna e le parlai con fermezza.
‘Shu dow-a, Shu-bid-uck Habibti? Stani schway, Min fadlick, Shu-bit-se-wee?’
Nel momento stesso in cui sentì qualche parola che lei conosceva, per quanto mal usata, smise di piangere. Pensava che il volo fosse stato cancellato del tutto. Doveva essere a El Paso il giorno dopo per un importante trattamento medico.
Le ho detto ‘Va tutto bene, arriverai in tempo, chi verrà a prenderti? Chiamiamolo’.
Abbiamo chiamato suo figlio e ho parlato con lui in inglese. Gli ho detto che sarei rimasta con sua madre finché non saremmo salite sull’aereo e avremmo viaggiato vicine, verso sudovest.
Lei ha parlato con lui. Poi abbiamo chiamato i suoi altri figli solo per divertimento. Poi abbiamo chiamato mio padre e lui e lei hanno parlato per un po’ in arabo e hanno scoperto che naturalmente avevano dieci amici comuni. Allora ho pensato solo per il gusto di farlo, perché non chiamare alcuni poeti palestinesi che conosco e lasciarli chiacchierare con lei? Tutto ciò ha richiesto circa due ore.
A quel punto rideva molto. Raccontava la sua vita, mi accarezzava il ginocchio, rispondeva a domande. Aveva tirato fuori dalla borsa un sacchetto di biscotti fatti in casa – piccoli cumuli di zucchero a velo farciti con datteri e noci – li offriva a tutte le donne.
Con mio grande stupore, neanche una donna ha declinato. Era come un sacramento. La viaggiatrice dall’Argentina, la mamma della California, la bella donna di Laredo, eravamo tutti ricoperti dallo stesso zucchero a velo. E sorridevamo. Non c’era un biscotto più buono. E poi la compagnia aerea ha offerto del succo di mela su enormi termos e due bambine del nostro volo sono corse intorno per servirci e anche loro erano ricoperti di zucchero a velo. E notai che la mia nuova migliore amica- ormai ci tenevamo per mano – aveva una pianta in vaso che spuntava dalla sua borsa, una pianta medicinale, con foglie verdi e pelose. Una tradizione di viaggio di un vecchio paese. “Porta sempre una pianta. Resta sempre connesso a qualcosa”. E ho guardato intorno a quel gruppo di persone stanche e ho pensato, questo è il mondo in cui voglio vivere. Un mondo condiviso. Non una sola persona – una volta interrotto il pianto della confusione – sembrava in apprensione per un’altra. Hanno preso i biscotti. Volevo abbracciare anche tutte quelle altre donne. Tutto questo può ancora succedere ovunque. Non tutto è perduto.