“Dimmi cosa | faresti oggi | se sapessi che la tua vita | è una celebrazione
di questo mondo?”
Così inizia una poesia di Bernardette Miller che è risuonata nel mio cuore più volte in queste settimane, sentendomi più volte una privilegiata per la salute mia e dei miei cari e sentendo ancora più forte la responsabilità di onorare e celebrare la vita.
Risuonano ancora di più in questi ultimi giorni in cui sembriamo avvicinarci alla fase 2. Qualcosa è iniziato a cambiare. Leggo testimonianze di chi è tornato a casa dopo ricoveri in ospedale, leggo di reparti COVID che chiudono, di persone che programmano il ritorno al lavoro e di baby sitter da cercare. Per qualcuno è giù tempo di bilanci. Per altri di delusione: in molti speravano in una maggiore libertà e un più veloce ritorno alla vita com’era prima.
Non so se sono pronta a rituffarmi nella vita di prima. Penso a quando un lutto o una grossa sofferenza ci tocca e poi dobbiamo riprendere la nostra vita ma in qualche modo sentiamo che non siamo ancora pronti. Non so ancora come questi due mesi mi hanno cambiata. Mi accorgo che nel corso delle settimane il mio modo di sentire è mutato più volte e mi piacerebbe tracciare una mappa di queste settimane.
Quello che è unico, è il fatto che questo lutto, la sofferenza degli ultimi mesi è condivisa. Abbiamo tutti visto in TV sfilare i carri fuori Bergamo o le fosse comuni di New York o il Papa solo in Piazza San Pietro per le celebrazioni di Pasqua. Tutti siamo stati toccati da storie o immagini che ci hanno fatto tremare. Mi domando se ce lo ricorderemo quando incroceremo gli sguardi, gli occhi e i visi delle persone della nostra vita ancora protetti dalle mascherine.
Questo periodo ci ha ricordato la nostra fragilità. A volte ho paura che la dimenticheremo troppo presto, che la stiamo già dimenticando mossi da una certa insofferenza. Forse molti desiderano dimenticare.
Conosco tante persone che non amano parlare della morte, della malattia, sembra che sia un problema che riguarda gli altri. In questo periodo di grande dolore non abbiamo proprio potuto voltare la testa dall’altro lato e far finta di nulla.
Se per caso stai notando un certo fastidio nel leggere queste righe, probabilmente anche per te è difficile ricordare la vulnerabilità dell’essere umano. Va bene così.
Semplicemente facciamoci caso.
Facciamo una pausa.
Ora un profondo respiro. Notiamo il respiro.
Magari chiudiamo gli occhi e assaporiamo questo preciso momento.
Siamo qui. Osserviamo la stanza o lo spazio che ci ospita, i vestiti che abbiamo scelto distrattamente questa mattina e che accarezzano la nostra pelle.
Forse possiamo scoprire che l’altra faccia della fragilità è la preziosità di questo momento e soprattutto la possibilità di riconoscerlo. Questo il miracolo.
Mi domando se in queste settimane che ci separano dalla fase 2 e 3 e chissà da quante altre, possiamo non perdere la testa affrettandoci nelle vecchie routine. Piuttosto rallentare e osservare cosa fa tremare il nostro cuore, cosa lo fa cantare. Cosa ci ricorda la nostra vulnerabilità e cosa celebra la vita ricordandone la preziosità.
Quando avremo la possibilità di riabbracciare i nostri cari, o riscoprire una strada che percorrevamo abitualmente, gustiamoci ogni dettaglio e se la tentazione di accelerare arriva fermiamoci e osserviamo cosa veramente desideriamo. Facciamoci caso, notiamo se si tratta di qualcosa che ci è mancato e distinguiamo è qualcosa di essenziale oppure no.
Un altro dono di queste settimane: averci mostrato cos’era veramente essenziale e cosa no.
Scopriamo come possiamo essere ancora rispettosi del distanziamento che ci viene chiesto eppure continuare a costruire connessioni. Sì è possibile. Forse l’invito a indossare mascherine può veramente essere l’occasione per iniziare a guardarci negli occhi. Magari domandarci cosa quegli occhi hanno visto in queste settimane e come hanno celebrato il mondo. Nel provare a indovinare le storie degli altri stiamo forse riconoscendo le nostre.
Chiudo con la poesia di Bernardette Miller Da dove tutto è iniziato (From which it all began). La traduzione è la mia.
Dimmi cosa
faresti oggi
se sapessi che la tua vita
è una celebrazione
di questo mondo?
Ti fermeresti
per raccogliere la luce del sole
mentre cade silenziosamente
su pini
oltre il riquadro della finestra?
Corteggeresti
sogni troppo grandi
per essere contenuti
dalla coscienza?
Ti fermeresti
nella terribile bellezza
dell’incertezza
come se la pienezza del mondo
dipendesse dalla tua presenza?
Formuleresti le tue speranze
basandoti sulla possibilità che risiedono
solo nella partenza?
Diventeresti il movimento
della tua canzone,
perdendo te stesso in tonalità
di gioia
o disperazione
e tornando, finalmente,
all’immobilità
da dove tutto è iniziato?