Tutte le volte che pensiamo alla meditazione, che immaginiamo qualcuno che pratica mindfulness, probabilmente visualizziamo una persona seduta, con gli occhi chiusi, mentre ricerca la grande pace interiore. Chissà se poi è veramente o solamente questa la meditazione.
Penso a quella volta in cui mia madre, indaffarata dietro alle necessità di mio padre negli anni in cui è stato disabile, mi ha detto: “Questa è la mia meditazione”. Dietro questa veloce affermazione – dico veloce perchè mi è stata offerta velocemente mentre correva verso di lui – si nascondeva una grande verità. La meditazione è anche azione. La meditazione è anche attivismo.
Oggi si sente tanto parlare di mindfulness impegnato, di social mindfulness, ma non si può pensare alla meditazione di consapevolezza senza pensare al suo ruolo attivo. Se non lo cogliamo, non abbiamo del tutto compreso il senso della mindfulness.
La mindfulness i cui insegnamenti arrivano dalla tradizione buddhista, si interessa prima di tutto al modo in cui viviamo. Proprio per questo è strettamente connessa all’etica e all’impegno sociale.
Lavoro interiore
La parola etica potrebbe farci storcere il naso perché forse associata a una qualche morale, a delle regole su cosa sia giusto o sbagliato. Ma la tradizione buddhista non cerca di proporre un punto di vista. Piuttosto cerca di sviluppare l’attenzione, l’investigazione, la saggezza e la compassione per comprendere il contesto in cui viviamo. Tutti gli insegnamenti sono interessati alle potenzialità che abbiamo come esseri umani quando ci risvegliamo alla vita e a noi stessi. Dunque nessun punto di vista da adottare, nessuna verità assoluta a cui credere.
L’attivismo parte prima di tutto da un lavoro interiore. Senza quello, nessun tipo di lavoro può essere portato avanti. In questo senso quello che avviene silenziosamente sul nostro cuscino di meditazione è un cambiamento di stato di coscienza; un risvegliarci a delle domande fondamentali per ritrovare la nostra umanità. Se è vero che la curiosità è una delle lenti della mindfulness, e l’investigazione una delle funzioni della nostra meditazione, scopriamo che proprio da qui parte l’etica: nell’imparare a farci domande. Possiamo iniziare semplicemente esplorando: quale valore sto dando alla mia vita? Come voglio viverla? Cosa voglio lasciare dopo di me? Quale il messaggio della mia esistenza?
Se non ci facciamo alcuna domanda, probabilmente siamo lontani dal vivere una vita etica. Come dice il maestro John Peacock, se una domanda sull’etica non risveglia la nostra attenzione, forse non abbiamo capito la domanda.
Responsabilizzarci
La Mindfulness è una porta d’accesso, un allenamento importante per risvegliare la nostra coscienza, per trovare o ricordare un’intenzione da portare avanti ogni giorno, un significato alla nostra esistenza, il desiderio di vivere pienamente. Soprattutto la pratica di consapevolezza ci permette di riconoscere che non siamo vittime impotenti di un futuro senza scelta. Piuttosto, la pratica di consapevolezza ci offre:
- la realizzazione che abbiamo sempre una scelta, anche quando crediamo di non averne
- la comprensione che le nostre scelte hanno delle conseguenze
- la responsabilità, intesa come abilità a rispondere agli stimoli che riceviamo
Ecco che quando iniziamo a riflettere su queste nostre facoltà e potenzialità, diventa inevitabile comprendere che questo nostro prendere posto sul cuscino di meditazione raccoglie un senso ampio; che il momento più importante della pratica arriva quando ci alziamo dal cuscino di meditazione e portiamo tutta questa saggezza nel mondo, in ogni conversazione, di ogni progetto, in ogni azione.
Un sentiero e un addestramento
Il percorso della consapevolezza viene spesso descritto come un sentiero (magga). Mentre camminiamo, non siamo tanto interessati, o non solo interessati al punto di arrivo; piuttosto a come scegliamo ogni passo. C’è un termine bellissimo nella tradizione buddhista che è pati-pada (per me è anche un po’ onomatopeico) e racconta il progredire un passo alla volta. Stiamo scegliendo di seguire alcune tracce e di abbandonarne altre. Mentre camminiamo stiamo a nostra volta lasciando un’impronta per altri che verranno dopo di noi. La consapevolezza ci allena a scegliere quale impronta lasciare. Infine, aspetto importantissimo che non smetto mai di ricordare al gruppo di praticanti, tutti questi insegnamenti sono prima di tutto addestramenti e non regole. Su questo sentiero stiamo a tutti gli effetti allenandoci ad abitare il mondo in modo che il nostro passaggio non arrechi sofferenza ma favorisca il fiorire nostro e di altri esseri umani. Vuol dire che giorno dopo giorno riflettiamo sulle nostre parole, sulle nostre azioni e possiamo momento dopo momento scegliere il passo successivo imparando da ogni occasione che il sentiero ci sta offrendo. Come sempre, a noi la scelta.