Molti di noi si sono avvicinati alla meditazione in un momento di sofferenza, smarrimento, incertezza. La pratica ci ha aiutato a trovare un senso più ampio alla nostra sofferenza, a lasciare andare, a prenderci cura di noi. Ma la vita va avanti, le situazioni si trasformano e cosa ci porta ancora a meditare?
Ricordo una partecipante del corso MBSR che aveva scelto di partecipare per gestire la sofferenza per la malattia inguaribile della sorella. Quando poi questa era morta, non aveva ritenuto utile continuare dal momento che la sua “motivazione” non c’era più. Quando sparisce il problema che ci ha inizialmente condotto alla meditazione, per qualcuno la pratica non ha più la sua ragione d’essere.
In qualche modo è come attribuire alla nostra mancanza di tranquillità una causa esterna a noi. Venendo a mancare quella causa non abbiamo più bisogno di occuparci della nostra tranquillità. Ma è veramente così?
È legittimo riconoscere che la nostra pratica cambi con le condizioni della vita. È illusorio credere che la nostra pratica resti sempre la stessa.
È utile farsi due domande:
- Perché meditiamo?
- Cosa coltiviamo durate la meditazione?
Rispondendo alla prima domanda, probabilmente molti di noi meditano per trovare pace e tranquillità. Spesso cerchiamo pace da una certa preoccupazione che ci tiene in ostaggio. Pensiamo che se quella situazione fosse risolta, allora la nostra tranquillità sarebbe ristabilita. Così facendo spostiamo la fonte della nostra serenità fuori di noi. Allora risulterebbe legittima la domanda di alcuni praticanti: dal momento che la ragione della mia sofferenza è venuta meno, che senso ha continuare a meditare?
Ecco perché la seconda domanda è tanto importante e legata alla prima. Cosa coltiviamo nella meditazione? Infatti è importante che la nostra motivazione si sposti da una dimensione esterna a una sempre più interna; da una pace che è effetto di cause esterne, a una tranquillità coltivata internamente.
Dunque, mentre è naturale e umano, avvicinarsi alla pratica per il legittimo desiderio di essere liberi da una specifica sofferenza, è importante farsi spesso la domanda del perché meditiamo, delle nostre intenzioni e motivazioni. A questo proposito ecco cosa scrive il maestro Joseph Goldstein: “Se sappiamo perché meditiamo, cominciamo a capire il grande significato del viaggio spirituale, e quel significato a sua volta ci darà l’ispirazione, l’energia necessaria per procedere lungo il sentiero. (…) Se abbandoniamo il senso dell’obiettivo e ci affidiamo all’idea che la pratica consista semplicemente nel divenire consapevoli e attenti del momento presente, senza alcun senso della destinazione, dello sviluppo, o della approfondirsi della realizzazione, perderemmo una fonte di straordinaria energia e ispirazione”.
Riconoscere la gioia nella pratica
La gioia emerge spontaneamente nella meditazione. Non c’è nulla di costruito in questo processo; piuttosto è assolutamente naturale, solo non ci facciamo caso. È importante iniziare a riconoscere la gioia della pratica meditativa da subito. Diciamo pure che quando prendiamo posto, tutte le condizioni sono nel posto giusto perché la gioia nasca: le intenzioni, la postura del corpo e del cuore, la presenza mentale. Quando prendiamo posto, piantiamo un seme. E la gioia è già presente.
- Si inizia dall’intuizione dello spazio che si apre davanti a noi. Già la constatazione di starci dedicando del tempo è motivo di gioia.
- Quando iniziamo a meditare, incontriamo la meraviglia del respiro che ci tiene in vita. Così la gioia prende la forma della gratitudine.
- Respiro dopo respiro facciamo esperienza di pace, anche se passeggera, è proprio lì, è possibile. Notiamola!
- Nel tempo impariamo a non essere più ostaggio di pensieri ruminanti, di vecchi schemi che generano sofferenza. Ecco che la gioia è più simile a un esperienza di libertà.
- Nel raccoglimento profondo inoltre, ci sono veri e proprio stati di pace e rapimento che portano un benessere fisico e mentale.
È importante imparare a riconoscere questa gioia perché rafforza la nostra fiducia nella pratica, fiducia in noi stessi. E allora la gioia e la fiducia insieme saranno quelle che ci porteranno a prendere posto giorno dopo giorno.
Se pensiamo che la gioia arriverà solo quando avremo raggiunto chissà quali stati di immersione profonda o di liberazione totale, probabilmente non avremo abbastanza energia che ci porti sul cuscino di meditazione oggi, e poi domani. È importante riconoscere la gioia proprio ora, il solo fatto di esserci fermati invece di correre, di avere scelto di restare tranquilli in solitudine invece del caos.
Riconoscere la gioia nella vita di tutti i giorni
Eppure, quella pace coltivata sul cuscino da meditazione, non è il fine ultimo della nostra pratica. Qualsiasi cosa pratichiamo sul cuscino ha senso se trova poi una sua applicazione nella vita di tutti i giorni.
A volte siamo più bravi a riconoscere la sofferenza della nostra vita, siamo purtroppo meno abituati a riconoscere la gioia. Proprio come nella meditazione, la gioia può includere svariate sfaccettature che vanno da una tranquilla calma, all’eccitazione per qualcosa di inaspettato. Ecco una lista con alcuni spunti per aiutarci a riconoscere la gioia nelle nostre giornate.
- Il piacere dei cinque sensi – guardiamoci attorno e notiamo qualcosa di bello che i nostri occhi percepiscono, che il nostro olfatto apprezza: notiamo la vita che scorre attraverso i suoni che la compongono proprio ora e così via.
- Il divertimento e umorismo – notiamo qualcosa che nel corso della giornata suscita un nostro sorriso
- La contentezza nell’osservare il semplice ma appagante sentirci a nostro agio con quello che c’è (questa la mia preferita!)
- L’eccitazione che notiamo quando una notizia inaspettata suscita un’improvvisa felicità
- Il sollievo che proviamo quando dopo un’iniziale preoccupazione, riceviamo una notizia che ci fa sentire sollevati
- La meraviglia e lo stupore – notiamo quando ci scopriamo sopraffatti da qualcosa di immenso
- L’esultanza che percepiamo dopo avere completato una sfida
- La gioia compartecipe quando siamo felici del successo, della gioia di qualcuno che amiamo
- L’ispirazione che arriva quando osservando il comportamento di altri, ci sentiamo motivati a cambiare qualcosa
- La gratitudine e l’apprezzamento che sorge quando guardandoci attorno riconosciamo l’abbondanza delle nostre vita
Un ramo verde nel nostro cuore
Un’altra ragione importante per coltivare la gioia nella nostra pratica – e nella nostra vita (le due non sono mai staccate) – è quella di equipaggiarci per i giorni più difficili; perché ce ne saranno o forse ci sono già. Allora riconoscere la gioia ci permette di trovare un equilibrio e contestualizzare eventuali amarezze in un quadro più ampio che include anche la meraviglia, l’ispirazione, il sollievo e tanto altro. Possiamo iniziare da un sorriso interiore e cioè dalla disponibilità a accogliere la gioia nelle sue svariate forme.
Coltivare un sorriso interiore vuol dire coltivare la disponibilità a una pace che non affonda le sue radici esternamente, ma appunto deriva da una coltivazione interiore, da meraviglia che vive prima di tutto dentro di noi. Una delle mie insegnanti, Christina Feldman, cita spesso un modo di dire cinese”Se tieni un ramo verde nel tuo cuore, probabilmente un uccellino verrà lì a cantare”. Questo per me è il sorriso interiore: un invito a incontrare la vita con gioia.