Se pratichiamo la meditazione di consapevolezza, avremo già incontrato l’invito dell’insegnante a lasciare andare. Ma si tratta di un consiglio che non appartiene solo alla meditazione, chissà quanti amici, quanti genitori nel cercare di alleviare una qualche sofferenza ci hanno consigliato, magari accompagnando al gesto della mano che sembra volere scacciare qualcosa di molesto. È veramente possibile? Ci siamo riusciti?
Non so com’è andata a voi, ma posso dire nella mia esperienza che lasciare andare è una delle cose più difficili che ci siano. La mindfulness è una pratica che ci allena a questo lasciare andare. Lo facciamo inizialmente attraverso la scelta ogni volta rinnovata di non intrattenere un pensiero, un giudizio, un suono che consideriamo non necessario. Scegliamo di lasciare andare tutte le volte che invece di scappare dalla nostra pratica decidiamo di stare: stiamo infatti rinunciando all’irrequietezza, all’impulsività e la reattività e scegliendo la strada meno facile, la meno intuitiva. L’allenamento a abbandonare intenzionalmente i pensieri non salutari, le tensioni non più necessarie ci trasforma giorno dopo giorno.
Lasciare andare = Rinunciare
Il lasciare andare si avvicina al una qualità, che appartiene alla tradizione buddista che è quella della rinuncia (nekkhama). Molto spesso attribuiamo alla rinuncia una valenza negativa, quasi passiva. In verità la rinuncia racconta della nostra intenzione a non intrattenere ciò che non ci fa bene, ciò che ci distrae da quello che è importante nella nostra vita. Rinunciamo a ciò che ci crea sofferenza. Scegliamo ciò che ci nutre e che è salutare. La rinuncia è pregna di consapevolezza dei nostri attaccamenti e dell’intenzionalità ad abbandonarli.
Un nuovo inizio
Quando lasciamo andare, creiamo le premesse per una nuova rinascita. Anche in un tempo di stallo, un periodo di pausa in cui ci sembra non stia succedendo nulla, si sta preparando una qualche trasformazione, anche se non riconosciamo gli indizi. In questo senso, possiamo usare la fiducia e la pazienza come alleate. In questo momento in cui scrivo è ottobre, la stagione conosciuta per la caduta delle foglie; un fenomeno naturale che riempie i nostri occhi di meraviglia. Mentre ammiriamo con quanta facilità gli alberi lasciano andare le foglie, spogliandosi completamente per un tempo lungo che può assomigliare alla morte, possiamo domandarci cosa ha bisogno di morire in noi affinché qualcos’altro possa nascere, o rinascere? Si tratta di una domanda senza fine perché continuamente c’è qualcosa in noi che potremmo abbandonare: una paura, una relazione, un punto di vista che crediamo ci definisca così tanto ma che invece ci crea solo tanta sofferenza.
Lasciare essere
E se non riusciamo a lasciare andare? La pratica ci offre un invito a lasciare essere, ci mostra come possiamo sempre scegliere di stare con le cose così come sono. “Whisper words of wisdom, let it be” cantava John Lennon, e “Sussurrando parole sagge, lascia essere”. La meditazione allena la nostra capacità a rinunciare, a lasciare essere e a trovare proprio qui la forza trasformatrice. Quando lasciamo essere, impariamo a stare con le cose così come sono, senza sentirci ostaggio di esse, la magia si compie: siamo lasciati andare, cioè non siamo più ostaggio di quelle emozioni, di quelle relazioni, di quelle condizioni che non ci permettevano di sentirci liberi. Lasciare essere è soprattutto una pratica di tenerezza; non è una battaglia, non è una mano che scaccia via ciò che è indesiderato. Piuttosto è un percorso di accettazione, di adattamento al naturale svolgersi della nostra esistenza.
Praticare il lasciare andare
Allora un’altra domanda che possiamo portare con noi in questo mese di ottobre è: cos’è che non riesco proprio a lasciare andare? Nel porci questa domanda possiamo:
- esplorare quanta tensione, quanta contrazione e sofferenza probabilmente ancora ci tiene in ostaggio; lo notiamo nel corpo, nei pensieri, nel nostro cuore,
- avvicinare con gentilezza questa tensione, diventiamo testimoni di tutto questo con occhi benevoli,
- lasciare che la gentilezza verso noi stessi faccia il lavoro,
- continuare a praticare e osservare questo fenomeno per cui un giorno la nostra sofferenza è lasciata andare.
Scopriamo come piuttosto che lasciare andare, siamo lasciati andare.