La prima volta che abbiamo guidato una bici senza rotelle, la prima volta che ci siamo tuffati in acqua senza braccioli, il primo giorno di scuola, il primo giorno di lavoro, la prima volta che ci siamo innamorati, che abbiamo provato a suonare uno strumento, a scrivere una poesia o partecipato a qualsiasi nuova iniziativa. In tutti questi casi abbiamo fatto appello a una certa fiducia in noi stessi. Qualsiasi cosa iniziamo, la iniziamo con fiducia.
Negli insegnamenti della mindfulness, la fiducia rappresenta uno dei pilastri, degli atteggiamenti che supportano la pratica. Nella tradizione buddhista la parola in lingua pali per fiducia è saddha e include svariate sfumature che comprendono la fede, la fiducia, la convinzione e l’accettazione. Saddha è presente in diverse liste degli insegnamenti buddhisti: è il primo dei 7 tesori, la prima delle 5 facoltà spirituali. Anche l’etimologia latina mostra queste sfaccettature. Il latino fido significa confidare; ma poi c’è fidens che significa fiducioso, senza paura; e anche confidens è risoluto (che poi richiama il significato inglese confident = sicuro di sè). E naturalmente c’è fides che è la fede, il credere in qualcosa di più grande e profondo.
In cosa avere fede?
Andiamo con ordine. Spesso associamo la parola fede a un sistema di valori, a una tradizione religiosa codificata, a specifiche credenze che scegliamo di abbracciare, appunto con fede. Prima ancora di scegliere di abbracciare qualcosa, è necessario riconoscere la fede interiore, come una forza, una capacità. La fede di partenza racconta quello slancio inziale che ci porta a cercare. È qualcosa di intuitivo che percepiamo più nel cuore, o nella pancia che nella testa. È più simile all’innamoramento iniziale. Questo tipo di fiducia non basta, altrimenti la fede, resterebbe immatura, superficiale, legata alle circostanze esterne. Questo chiaramente vale per la meditazione ma anche per molteplici aspetti della nostra vita: la dieta, gli amici, la scienze, gli insegnanti, la ricerca, gli amici etc. Se restiamo a questo livello, non durerà purché presto arriverà un’altra infatuazione. Quando la fede non viene verificata, resterà solo una sorta di devozione.
Fiducia
Gli insegnamenti che provengono da questa tradizione, si fondano su un principio essenziale che è quello di “provare per credere“. “Siate come gli orafi”, e cioè verificare come gli insegnamenti sono validi nelle nostre vite senza doverli seguire ciecamente. “Come funziona questo insegnamento nella mia vita?”. Veniamo invitati a verificare nella nostra vita, nel nostro cuscino di meditazione. Questa indagine è continua e estremamente trasformativa. Piccoli segnali di maggiore libertà, di agio, di comprensione ci fanno pensare di essere sulla strada giusta e ci danno sufficiente motivo per continuare. Ora, la fiducia inzia a fondarsi sull’avere verificato attraverso l’esperienza diretta.
Convinzione
Attraverso una continuità di pratica, la fede si traforma in convizione. Con il tempo e più esperienza, questa convinzione può portare a un livello di fiducia più profondo. Ci fidiamo della pratica, confidiamo nel percorso. Inizia a e emergere l’insegnante che c’è dentro di noi lo riconosciamo e sappiamo che possiamo fare affidamento. A questo punto, il dubbio che è uno degli ostacoli più comuni alla pratica, potrà sempre metterci in crisi ma potremo fare appello all’esperienza che avremo collezionato, a quei momenti di libertà che avremo assaporato.
Accettazione
Con il tempo la fiducia rinnovata e confermata, può trasformarsi in una particolare forma di fiducia che assomiglia all’accettazione. Si tratta di una disponibilità a riconoscerci parte della vita. Ci accorgiamo che non siamo soli, che la nostra fede è parte di un progetto più ampio. Lo descrive bene Corrado Pensa quando dice “La fiducia in se stessi è certamente una base molto importante per la fiducia più grande, la fiducia spirituale, ma non necessariamente se c’è la fiducia in se stessi c’è anche la fiducia spirituale. (…) Succede cioè che se la fiducia in se stessi non è sorretta da una fiducia più grande, se la fiducia in se stessi e isolata da una fiducia più grande, ossia di una fiducia nella vita malgrado tutto, malgrado tutta la sofferenza che c’è nella vita, possiamo rimanere una fiducia auto-centrata una fiducia un po’ egoistica e quindi limitata Ma se c’è con tutto il suo aspetto di misteriosità, una fiducia più grande, anche se siamo depressi non siamo veramente depressi. Non è un gioco di parole. Posso essere depresso, insoddisfatto, scontento, ma c’è qualcosa che mi sorregge e che io sorreggo“.
L’accettazione ci rende sempre più disponibili a stare con l’ignoto, con ciò che non è comprensibile. Ci allena alla pratica di stare con le domande senza fretta di trovare risposte.
Chiudo con una poesia più apprezzate di Mary Oliver, Oche selvatiche che descrive la fiducia nella sua accezione più vicina all’accettazione, all’accogliere la vita nel suo mistero e il nostro posto “nella famiglia delle cose”.
Non devi essere buono.
Non devi camminare sulle ginocchia
per cento miglia nel deserto in penitenza.
Devi solo lasciar che il dolce animale del tuo corpo ami ciò che ama.
Raccontami della disperazione, la tua, ed io ti racconterò la mia.
Intanto il mondo va avanti.
Intanto il sole e i chiari cristalli di pioggia
si stan muovendo per i paesaggi, su praterie e profondi alberi,
su montagne e fiumi.
Intanto le oche selvagge, alte nel puro aere blu,
son di nuovo sulla rotta verso casa.
Chiunque tu sia, non importa quanto solo,
il mondo offre se stesso alla tua immaginazione,
come le oche selvatiche ti chiama, aspro ed eccitante –
annunciando ancora e ancora il tuo posto
nella famiglia delle cose.