C’è un tema costante nella meditazione, un tema che riguarda tanto i meditanti esperti quanto i neofiti. Si tratta degli ostacoli, gli impedimenti alla meditazione. In realtà questo argomento in qualche modo coinvolge anche chi non medita dal momento che descrive alcune modalità con cui incontriamo la vita mettendo in evidenza alcune delle storie che ci raccontiamo.
Il modo in cui incontriamo la pratica è simile infatti al modo in cui incontriamo la vita. Il tema è vasto ed è stato trattato dai più grandi insegnanti di tutti i tempi. Oggi desidero solo accennare alcune riflessioni su questi ostacoli perchè possano essere uno spunto di riflessione.
Irrequietezza
Il primo di questi ostacoli è l’irrequietezza della mente. Spesso mi sento dire “non potrei mai meditare, la mia mente non si ferma mai”. Effettivamente una delle prime esperienze che facciamo quando iniziamo a meditare è quanto persi siamo nei nostri pensieri. È un concetto che conosciamo solo in teoria ma che quando chiudiamo gli occhi per la nostra pratica, ci offre un’esperienza tangibile di quanto irrequieti siamo con la mente e non solo con quella. Anche il corpo protesta e l’agitazione coinvolge un continuo desiderio di muoverci, alzarci, insomma: smetterla! Tutto questo ha a che fare con un profondo e radicale cambiamento e cioè quello di spostarci da una dimensione del fare a una dimensione dell’essere. Quando iniziamo a praticare sembra non stia succedendo nulla, questo nulla ci disorienta al punto da renderci inquieti e dal dichiarare alla fine che no, non ci siamo affatto rilassati. Dimentichiamo che il senso della pratica non era rilassarci quanto piuttosto stare con quello che c’era, anche quando quello che c’è è irrequietezza. Forse è esattamente quello il nostro insegnante: la nostra modalità performante, la nostra to do list che sembra diventare sempre più lunga mentre stiamo meditando.
Torpore
Simile anche se apparentemente all’opposto, chi racconta di non riuscire a meditare per una certa sonnolenza o pigrizia. Certe volte ci troviamo davvero davanti a una sincera sonnolenza: il corpo ci sta dicendo che siamo stanchi e abbiamo bisogno di riposo. Allo stesso modo la mente agitata può indicarci con chiarezza che qualcosa necessita la nostra attenzione.
Ma non sempre è così. Irrequietezza e sonnolenza sono lati opposti della stessa medaglia. Al cuore di entrambi c’è il desiderio di sfuggire al momento presente. Entrambe queste sfide ci allontanano dall’essere presenti a quello che sta succedendo.
Nella pratica si manifesta nel non volere sentire nulla, nel volere dormire, nel volere alzarsi e interrompere la sessione prima della fine prevista. Nella vita di tutti i giorni facciamo la stessa cosa, magari ci riempiamo di cose da fare e poi non riusciamo a farne nessuna. Eppure, anche quando siamo presi da irrequietezza o da sonnolenza, conviene non interrompere la seduta di pratica.
Qualcosa sta in verità succedendo come dice bene Joseph Goldstein “Anche quando crediamo che nella nostra pratica non stia succedendo granché e che non facciamo altro che dormire, alla fine se non ci diamo per vinti, l’intenzione e l’energia della perseveranza daranno i frutti”.
Avversione
Un’altra delle ragioni per cui fatichiamo a praticare è una generale resistenza alla pratica, una sorte di avversione che può avere svariate radici. Solitamente è utile osservare cosa in quel momento crea questo stato d’animo. “Se solo la pratica durasse meno…”, “Se solo a casa ci fosse meno rumore…”, “se solo la voce all’insegnante fosse diversa” e così via in un’interminabile lista di fastidi che mostrano la nostra inclinazione a volere o non volere che le cose vadano in un certo modo. Questo momento semplicemente non va bene e voglio che vada diversamente; esattamente come nella vita quotidiana: se solo avessi quel cappotto, se solo avessi più tempo, più soldi, se solo non avessi questo lavoro, questo marito e così via.
Tutta la giornata siamo portati a vedere quello che vogliamo e quello che non va, e diventa così tanto un’abitudine che finiamo per fare la stessa cosa nel corso della meditazione.
Attaccamento
In maniera analoga e opposta l’attaccamento si presenta nella nostra pratica per intrattenere la nostra mente su scenari sublimi e sensazioni sensoriali da assecondare. Qualcuno racconta di avere attacchi di fame, di immaginare pasti deliziosi da preparare, impulsi sessuali che si crede di dovere assecondare. Oppure l’attaccamento si mostra nel modo in cui crediamo si debba meditare: in un determinato luogo, a un determinato orario, in un determinato cuscino. Anche questo è un attaccamento. Anche qui, la mente ci intrattiene creando un bisogno che sembra debba essere soddisfatto al fine di renderci felici. Proprio come l’avversione, l’attaccamento ci mostra che solo quando avremo soddisfatto quel desiderio, allora la nostra pratica potrà riuscire e in generale saremo felici. Possiamo allora osservare come ancora una volta ci stiamo aggrovigliando in uno stato di attaccamento o avversione. Possiamo anche domandarci: cosa manca veramente in questo momento? Di cosa ho bisogno? Ecco che se ci concediamo di osservare con un nuovo sguardo questi desideri, semplicemente possiamo includerli come elemento del nostro panorama del momento presente. Tutto qui.
Dubbio
Il dubbio a volte riguarda noi, il non sentirci abbastanza bravi. Magari crediamo che gli altri stanno riuscendo meglio di noi nell’impresa e noi non saremo mai abbastanza bravi, abbastanza all’altezza, abbastanza concentrati, insomma che non siamo abbastanza. Altre volte il dubbio riguarda la meditazione stessa: “Funzionerà? Vorrei proprio vedere dei risultati tangibili”. ti i giorni siamo continuamente assaliti da dubbi su di noi, sui nostri amici, conoscenti, su chi ci governa.
La fiducia e la pazienza sono dei chiari alleati. A questo proposito mi piace ricordare le parole di Jon Kabat-Zinn “Ci ricordiamo che non c’è ragione di irritaci con noi stessi perchè la nostra mente è costantemente occupata a giudicare o perchè ci sentiamo tesi, agitati o spaventati…. Invece ci lasciamo lo spazio per vivere queste esperienze. Perchè? Perchè sono comunque la nostra esperienza del momento! Quando emergono sono la realtà, la nostra vita così che si sta manifestando in questo momento… Perchè cercare di scavalcare certi momenti per arrivare ad altri migliori? Dopo tutto ciascun momento è la nostra vita così com’è in quel momento… Pazienza è essere semplicemente aperti a ogni momento e accettarlo nella sua pienezza così com’è sapendo che come la farfalla nella crisalide, le cose matureranno quando è il loro tempo.”
Nel corso della nostra esistenza tutti questi ostacoli o impedimenti si manifestano in modalità diversa offrendoci un’occasione di conoscenza. Accorgerci che quesi ostacoli sono comuni a tante persone, dovrebbe già farci sentire meglio. Questi ostacoli diventano allora i nostri migliori alleati permettendoci di vedere dove siamo bloccati e in qualche modo invitandoci a esplorare una via d’uscita. La parola ostacolo infatti, non deve farci pensare a qualcosa da distruggere o superare, piuttosto a schemi da comprendere; storie da riconoscere e smantellare. Lo descrive bene Gunaratana “…non meravigliatevi quando vi imbattete in certe esperienze che sembrano un muro di mattoni. Non crediate di essere speciali: ogni meditante esperto ha il suo muro di mattoni che tende a riformarsi. Aspettateli e siate pronti a andare loro incontro. La vostra capacità di far fronte al problema dipende dal vostra atteggiamento…La vostra capacità di affrontare le difficoltà che sorgono durante la meditazione vi seguirà per il resto della vostra vita, e vi consentirà di risolvere questioni importanti che veramente vi preoccupano… Guardate tutto ciò dritto negli occhi, senza ritirarvi. Quando siete in difficoltà esaminate la difficoltà, osservatela attentamente, studiate il fenomeno e comprendetene la dinamica. Il modo per uscirne dalla trappola è studiare la trappola stessa e imparate come è stata costruita”.
Chiudo con una poesia di Dorothy Hunt che restituisce alla meditazione e agli ostacoli una certa normalità e ci ricorda che la meditazione è per prima cosa una relazione da esplorare, relazione con questo momento e con noi stessi. Una relazione senza giudizio.
Credi che la pace richieda la fine della guerra?
O che le tigri mangino solo verdura?
La pace richiede forse l’assenza del tuo capo, di tua moglie, da te stesso?
Pensi che la pace arriverà in qualche altro luogo, se non qui?
In qualche altro momento, se non ora?
In qualche altro cuore, se non nel tuo?
La pace è questo momento senza giudizio.
Tutto qui.
Questo momento nello spazio del cuore
dove tutto quello che c’è, è benvenuto.
La pace è questo momento senza credere
che dovrebbe essere in qualche altro modo,
che dovresti provare qualcosa di diverso,
che la tua vita dovrebbe realizzarsi secondo i tuoi piani.
La pace è questo momento senza giudizio,
questo momento nello spazio del cuore
dove tutto quello che c’è, è benvenuto.