Mindfulness e self-help: qual è la relazione tra queste due? Mi sono interrogata sulla relazione che la pratica di consapevolezza ha con le tematiche di auto-aiuto e sull’atteggiamento po’ snob che io stessa ho rivolto a questa categoria.
Quando vivevo in America, facevo parte di un book club, e come spesso succede in questi gruppi, ogni partecipante proponeva un libro da leggere e commentare insieme. Mi capitò fra le mani La Profezia di Celestino di James Redfield. Quando ci trovammo per il nostro appuntamento il gruppo concordò in modo abbastanza corale come il libro non aveva incontrato il loro gusto, soprattutto purché classificato come un libro di self-help, o auto-aiuto. In verità probabilmente il libro verrebbe classificato come New Age; quello che mi interessa al momento è l’atteggiamento un po’ snob con cui le mie compagne di book club avevano liquidato il tema dell’auto-aiuto. Una persona del gruppo chiese se qualcuno di noi avesse mai letto altri libri del genere, e mentre tutte si affrettavano a muovere la testa in forma di diniego, la mia mano in modo incerto si fermava a metà a strada. Come classificare tutti quei libri spirituali che leggevo da anni? Quelli sullo yoga e la meditazione, quelli spirituali e magari anche new age: erano libri di self-help?
Di quell’episodio ricordo soprattutto lo sguardo perplesso delle mie compagne di book club nel vedere la mia mano alzata.
Fanno parte della categoria di auto-aiuto tutti quei libri (e non solo libri) che si interessano di migliorarci, trasformarci e possono spaziare dal perdere peso e avere una migliore relazione con il cibo, con gli altri e con noi stessi, a chi continua a rimandare decisioni importanti, a chi vorrebbe essere più resiliente e tanto altro. Diciamo che insieme alla letteratura sull’auto-aiuto c’è un’industria focalizzata su questo. E probabilmente anche questo mi porta a storcere il naso un po’ come facevano le mie compagne di Book Club.
Rifletto su quell’episodio a distanza di anni e sul perchè nessun altro avesse alzato la mano con me. È veramente possibile che nessuno avesse mai letto un saggio che in qualche modo potesse avvicinarsi all’auto-aiuto?
Perchè le mie compagne non hanno alzato la mano?
Sono numerose le ragioni per cui storciamo il naso davanti la letteratura dell’auto aiuto.
- Molto spesso sembra non funzionare… In effetti, nelle conversazioni informali su corsi e percorsi che si sceglie di intraprendere, una delle domande più frequenti è “ma funziona davvero?”. In questo modo riempiamo di aspettative la tecnica, il libro, il corso e in qualche modo ci deresponsabilizziamo sul lavoro che dobbiamo fare su noi stessi.
- C’è tutta una retorica (e anche un’industria) sulla sofferenza umana che è senz’altro inevitabile.
- Alzare la mano vorrebbe in qualche dire ammettere la nostra fragilità. E per quanto questo sia uno dei momenti più trasformativi per l’essere umano, richiede sempre un certo lavoro.
(E comunque mi sono sempre domandata, come mai chi aveva proposto nel gruppo questo libro non ha alzato la mano insieme a me).
Self-help: una moda?
In questi anni libri e corsi su questi temi sono cresciuti in modo esponenziale raccontando forse un crescente senso di smarrimento e un legittimo desiderio di volere migliorare la nostra vita, il nostro lavoro, la qualità del tempo che trascorriamo in famiglia e con gli amici. Veniamo continuamente bombardati da corsi, podcast, libri che promettono di regalarci un po’ più di serenità o quanto meno, un po’ più di comprensione. Tra questi senz’altro i percorsi di mindfulness occupano una parte importante.
Eppure da sempre l’essere umano si è interrogato su come vivere meglio e sulla possibilità di ritrovare dentro se stesso la modalità per poterlo fare. Ne aveva parlato Aristortele con l’Etica Nicomachea e ancora prima Confucio, Sant’Agostino, Socrate, Kierkegaard, il Buddha o Sun Tzu per menzionare qualcuno. Da sempre la filosofia non ha mai avuto uno scopo solo teorico ma soprattutto terapeutici.
Allora la mia mente torna per un momento a quel book club, alla mia timidezza nell’alzare la mano e alle presente critiche che spesso rivolgiamo alla letteratura di auto-aiuto come se si trattasse di una lettura naive e penso che la storia è in realtà molto più antica e molto più complessa dal momento che si tratta dell’indagare che cosa significhi essere umani.
E la mindfulness fa parte dell’auto-aiuto?
È interessante osservare come la mindfulness sia in qualche modo estranea a questa logica di auto-aiuto e allo stesso tempo ne sia completamente immersa. Ne è estranea dal momento che:
- piuttosto che spingerci a cambiare ci invita a accettare chi veramente siamo o una certa condizione della nostra vita
- piuttosto che analizzare il passato o darci obiettivi sul futuro ci invita a restare sul presente
- non ci insegna nuovi valori, o tecniche per essere più resilienti ma ci mostra come lo siamo già
Allo stesso tempo, la mindfulness rientra a pieno titolo nella sfera dell’auto-aiuto dal momento che:
- è estremamente transformativa
- ci rende consapevoli dei nostri valori e delle nostre capacità rafforzando la determinazione a prenderci cura di noi
- ci offre uno strumento per poterlo fare
Per molti la mindfulness diventa un punto di arrivo dopo tanto girovagare tra corsi e libri; lo è stato quanto meno per me dopo tanta esplorazione di guide spirituali, pranoterapeuti, e varie tecniche, mi sono fermata perché mi sono accorta che questo continuo girare mi allontanava dall’unico posto in cui dovevo invece rivolgere la mia attenzione: il mio respiro, questo momento così com’è. Sono certa che questa riflessione è altrettanto valida per altre pratiche che come ho detto in definitiva esplorano lo stesso viaggio.
Per questo, la prossima volta che vedrò un altro annuncio dell’ennesimo corso, percorso, podcast di self-help posso ricordarmi soprattutto di questo innato bisogno dell’essere umano e del coraggio, dell’impegno di persone normali che dedicano del tempo per parlare di ciò che conta davvero, per affrontare le frustrazioni della vita quotidiana, per provare a stare meglio.
A noi la scelta!