Gli ultimi mesi hanno enfatizzato una tendenza che in realtà era già presente nelle nostre vite, quella di vivere in sala d’attesa. Quante volte rimandiamo il nostro vivere alla fine del lavoro, alla fine della scuola dei bambini, alla fine di un progetto, di una stagione, alla fine della pandemia.
“Quando tutto questo sarà finito…” è una frase che mi capita di sentire spesso ultimamente. Quanti di noi fanno programmi su cosa fare, vedere quando questo periodo sarà finito?
Lo faccio anch’io soprattutto nei periodi più carichi di lavoro: rimando ai tempi futuri i piani di che portano maggiore felicità. Il rischio è quello di vedere la gioia come un svago, o come la luce alla fine del tunnel. La felicità è invece un atteggiamento da coltivare ogni giorno nelle nostre giornate, facendo del nostro meglio per farle spazio.
Questo vale anche nella meditazione, nella possibilità cioè di riconoscere nella nostra meditazione non solo la mente irrequieta e il torpore ma anche la pace, la calma e la gioia. Rischiamo altrimenti di ridurre la meditazione a un’esplorazione sulla sofferenza e sullo stress, e magari a credere che la felicità arriverà solo quando tutta la sofferenza sarà finita. Ma sarà mai finita?
“Credi che la pace richieda la fine della guerra?”, recita il primo verso di una poesia di Dorothy Hunt. Possiamo anche parafrasarla così: credi che la felicità richieda la fine della sofferenza?
La mindfulness non ci invita semplicemente a essere presenti e contare i respiri. Piuttosto indaga la qualità della nostra presenza, la relazione che coltiviamo con la nostra vita. La parola in lingua pali per meditazione è bhavana e letteralmente significa coltivare.
Cosa coltiviamo?
Ultimamente sto facendo spazio nelle mie giornate e nella mia meditazione a ciò che fa cantare il mio cuore. Sto allenandomi a fare spazio alla gioia. Ogni giorno faccio spazio per qualcosa che mi rende felice”. Sto anche facendo del mio meglio perché questa cosa non avvenga a fine giornata o quando sono veramente sfinita.
Ho notato infatti che per troppo tempo la gioia nelle mie giornate doveva essere meritata. Solo se veramente stanca, solo dopo essermi occupata di questo, di quello, solo se veramente triste potevo concedermi quella serie TV, quel film, quel libro, quella passeggiata. La felicità era quasi una scelta in opposizione alla sofferenza.
E invece può essere resa intenzionale e quindi ricercata. Per esempio, mia mamma ultimamente va a comprare dei fiori con il desiderio di curarli, sistemarli e disporli al meglio nel vaso che ha scelto. Questo le dà così tanta gioia che è diventato un appuntamento andare a cercare i fiori e ogni giorno curarli.
Io da quasi un anno ho iniziato a disegnare e cerco di ritagliarmi ogni giorno 15 minuti per disegnare. (Ho anche scoperto così tante similitudini tra il disegno e meditazione; ho ritrovato i miei stessi ostacoli alla pratica anche sul foglio di carta. Ma di questo magari parlerò in un altro blog).
La pratica della felicità non significa trovare il lato positivo di ogni cosa. Piuttosto andare in cerca intenzionalmente e senza giudizio di cosa ci rende felici e includerlo nelle nostre giornate senza aspettare la pensione, senza aspettare sabato, senza aspettare di essere sfiniti dalla stanchezza o dalla sofferenza. Significa uscire da quella sala d’attesa in cui ci siamo chiusi e iniziare subito a vivere una vita felice. Scopriamo che la felicità è energia e quell’energia verrà ridistribuita nel resto della nostra giornata e della nostra vita.
Chiudo con una poesia che parte da un dipinto. È di Roger Keyes, uno studioso del grande pittore Hokusai che racconta quello che vede in un suo quadro. I versi raccontano di piccoli gesti gioiosi di cui riempiano la nostra sono vita, e sono in realtà la vita stessa.
Hokusai dice osserva con precisione.
Egli dice presta attenzione, nota.
Egli dice continua ad osservare, rimani curioso.
Egli dice non c’è fine al vedere.
Egli dice aspira con impazienza ad invecchiare.
Egli dice continua a cambiare,
così da diventare maggiormente chi sei veramente.
Egli dice bloccati, accettalo, continua a ripeterti finché è interessante.
Egli dice continua a fare ciò che ami.
Egli dice continua a pregare.
Egli dice ognuno di noi è un bambino,
ognuno di noi è un vecchio,
ognuno di noi ha un corpo.
Egli dice ognuno di noi è spaventato.
Egli dice ognuno di noi deve trovare
un modo di vivere con la paura.
Egli dice tutto è vivo –
conchiglie, edifici, persone, pesci,
montagne, alberi, il legno è vivo.
L’acqua è viva.
Ogni cosa ha una propria vita.
Tutto vive dentro di noi.
Egli dice vivi con l’intero mondo dentro di te.
Egli dice: non importa se disegni o scrivi libri. Non importa se seghi alberi o catturi pesci.
Non importa se stai seduto a casa, nella tua veranda, a fissare le formiche o le ombre degli alberi e dell’erba in giardino.
Ciò che importa è che ti importi.
Importa che tu percepisca.
Importa che tu noti.
Importa che la vita vive attraverso di te.
L’appagamento è la vita che vive attraverso di te.
La gioia è la vita che vive attraverso di te.
Soddisfazione e forza sono la vita che vive attraverso di te.
La pace è la vita che vive attraverso di te.
Egli dice: non avere paura.
Non avere paura.
Guarda, percepisci, lascia che la vita ti prenda per mano.
Lascia che la vita viva attraverso di te.