Mettere ordine nello studio di mio padre è un po’ come partecipare a una caccia al tesoro dove il premio è riorganizzare una stanza che nella mia famiglia viene ancora vissuta con molto rispetto e riguardo. Scopro quasi subito che il vero tesoro sta nella possibilità di conoscere qualcosa di più su mio padre, e così facendo finisco per conoscere qualcosa di più su una storia che mi riguarda. Scopro delle letture che faceva, delle ricette che avrebbe voluto provare, delle esercitazioni di tedesco. Migliaia di foglietti, appunti su un saggio da scrivere, su una conferenza da preparare, ricerche, dépliant di mostre visitate o che desiderava visitare, guide della Francia, di Vienna, della Germania; libri da comprare, liste di cose da non dimenticare.
E poi cartoline di foto in bianco e nero, citazioni appese nella stanza come per fermare un’intenzione che faccia da guida alla vita, alle azioni; e agli imprevisti.
Trovo poi tracce di quell’altra vita, quella del capofamiglia, con le bollette da pagare, le scadenze, le responsabilità. Poi le lettere, i biglietti di noi figlie, le foto delle sue 4 ragazze. Mentre mi lascio attraversare dalla tristezza scopro qualcosa di più su di me e su tutte le cose che anche io, nel mio studio accumulo, progetto, sottolineo, incornicio. Scopro il DNA e anche l’impermanenza di tutto questo darsi da fare.
Con mia grande gioia, vado nella stanza accanto e lo trovo ancora lì, il mio papà.
Lui che ha lasciato andare tutte queste cose all’improvviso, senza essere avvisato, che ha fatto spazio a un’altra vita ancora, senza poter scegliere.
Convivono sentimenti diversi, nostalgia per i giorni andati, orgoglio nel trovare le tracce di un’anima così profonda e amante della vita; meraviglia nello scoprire quante vite convivono in un solo essere umano.
Un senso di responsabilità mi attraversa mentre scrivo, come se questa che io chiamo fortuna altro non è che un monito, che mi ricorda di godere di ogni progetto e ogni oggetto; vivere ogni cosa pienamente. E anche se dovessi essere interrotta prima di finire, va bene così. Tutto il cuore della vita è racchiuso nell’amore, nella cura e nella sincerità che accompagna ogni gesto.
Venerdì, dopo avere finito di ordinare lo studio, ti ho trovato che guardavi fuori dalla
finestra. “Cogito ergo sum” mi hai detto e abbiamo parlato dell’incredibile dono di potere riflettere sulla vita. Sul fatto che non basta essere toccati dalla vita; è la possibilità di riflettere sulle cose che accadono che ci permette di continuare a crescere come esseri umani.
Ho guardato fuori dalla finestra con te. Abbiamo osservato le piante che hai messo tu in terrazzo un’altra vita fa; abbiamo notato l’ombra delle foglie del gelsomino, attraversate dal vento e dal sole, ballare sul cactus. E nella semplicità di quel momento, nella condivisione e nella totale presenza è stato come sentire tutta la vita racchiusa in un attimo.
Pura presenza, intenzionale e senza giudizio.
Tutto quello che cerchiamo di coltivare quando parliamo di mindfulness e cioè rallentare e osservare con attenzione, astenerci dal giudizio di com’è andata o come doveva andare, di essere grata per le cose che non ci sono più ma che ci hanno reso felici, e per quelle che possiamo ancora tenere per mano. Ricordarci della della curiosità e della grazia con cui giorno per giorno si può incontrare la vita.
“soprattutto ama
come fosse la sola cosa che sai fare
alla fine tutto questo non conta nulla
questa pagina in cui indugi
la tua laurea
il tuo lavoro
il denaro
nulla ha importanza
tranne l’amore
e il contatto umano
chi hai amato
e con quanta profondità l’hai amato
il modo in cui hai toccato la gente
intorno a te
e quanto le hai dato”
Rupi Kaur