“Un corso di gruppo? Ma non si può fare individualmente?”. È una domanda che ricevo spesso quando qualcuno vuole iniziare un corso di mindfulness MBSR ma mostra qualche perplessità nel fatto che sia un percorso di gruppo.
Lo capisco bene perchè è la stessa domanda che ho fatto io quando ho iniziato. Sì, si può fare individualmente ma si lascia fuori uno degli ingredienti fondanti di questo percorso che è appunto il “gruppo” di tale importanza da essere oggetto di diverse ricerche e tale da occupare una porzione importante nella formazione degli insegnanti.
Le ricerche fatte fin qui hanno rilevato come il gruppo contribuisca in modo significativo all’apprendimento, alla relazionalità, alla constatazione di una vulnerabilità condivisa. Lo psicologo e insegnante di mindfulness Rob Brandsma parla de “il potere del cerchio” e cioè di cosa succede quando un gruppo si riunisce, della risonanza, della saggezza condivisa, delle intuizioni che arrivano magari proprio ascoltando gli altri e del senso di unità di cui non si farebbe esperienza se si studiasse da soli.
Come stare insieme
C’è un momento all’inizio del percorso MBSR in cui scegliamo come stare insieme, ci diamo delle linee guida che ci permettono di restare insieme, ci chiamiamo solo per nome, lasciamo da parte cognomi, professioni, etichette. Dal momento in cui ci liberiamo dalla forma più mondana, si può dare spazio alla sostanza che è un ascolto attento e non giudicante. Più ascoltiamo gli altri, più riconosciamo le nostre storie, tutte in qualche modo uguali anche se tutte completamente diverse. Mi piace pensare che anche alla fine di un corso MBSR, quella qualità di ascolto rispettoso e non giudicante continua a vivere in altri ambiti e situazioni. Chissà. Così descrive il gruppo Saki Santorelli suo collaboratore fin dall’inizio “Trenta sconosciuti. Trenta motivi diversi per esser qui. Eppure, nelle nostre differenze, siamo uniti da un’intenzione comune: imparare a prenderci cura di noi stessi e a essere vivi nella nostra vita; guardare in profondità nelle nostre esistenze e farlo insieme. In tal modo siamo in realtà compagni. In Oriente, questo gruppo di persone che si incontra intenzionalmente si chiama sangha. Costituisce un concetto nuovo per la medicina.“
Il percorso MBSR è assolutamente individuale e individuali sono le scelte che si fanno; si può scegliere di restare zitti per settimane ma allora sarà proprio quello che noteremo. Un percorso di consapevolezza è prima di tutto uno specchio per iniziare a vedere alcune nostre modalità di stare al mondo. Proprio qualche giorno fa parlavo con una partecipante che ha da anni concluso il percorso. Mi ha confidato della diffidenza con cui si è approcciata al gruppo scegliendo di restare in silenzio per tanti incontri e tenendo gli altri partecipanti a debita distanza. Pian piano, mentre ascoltava le storie degli altri, lo sguardo concentrato su se stessa si è sollevato, forse incuriosito dal coraggio, forse riconoscendo emozioni simili alle sue, forse scorprendo altri modi di vivere la stessa situazione. Non importa. Certo è che “gli altri” finiscono per essere un’incredibile cassa di risonanza per chi partecipa e forse anche una guida involontaria e mi riferisco alle parole del maestro occidentale Ram Dass che diceva spesso che in definitiva ci stiamo tutti riaccompagnando l’un l’altro a casa. Non importano le storie o le parole, ma contano soprattutto il silenzio, la presenza, l’intenzione.
Chiudo con alcune righe di Chandra Livia Candiani che raccontano proprio questa magia.
“Chi sono gli altri nella stanza di meditazione? Talvolta, si conosce appena il loro nome, si intravedono le facce e il corpo, di sera la stanza è quasi tutto il tempo illuminata solo dalle candele; è vero che c’è un tempo prima e dopo per incontrarsi informalmente, ma chiunque sente che non è quello il cuore dell’incontro. Nella stanza, non conta il nome, l’aspetto, il genere, la provenienza, la professione, lo stato civile e sociale, eppure c’è un incontro profondo. Spesso vedo nascere tra le persone un affetto originale e autentico, simile a quello fraterno. Quello che degli altri conosco di pili nell’esperienza della stanza è il loro silenzio. Il silenzio è un po’ come la luce, bisogna affinare i sensi per accorgersi di quante diverse sfumature di luce in una giornata incontriamo. E cosi per il silenzio. Ci sono infinite varietà di silenzio. Ogni silenzio dice qualcosa. Nello stesso tempo, il silenzio è solo silenzio. Non esiste il silenzio mio o tuo. Fare silenzio insieme è una profondissima comunione. Le diverse esperienze di vita, i diversi stati d’animo possono creare complicità o avversione, il silenzio consapevole unisce. Il silenzio sa. Nel silenzio s’impara“.